O conceito de paisagem cultural e os novos desafios de conservação do património: contributo para o debate em Portugal e no Brasil

Tipo de documento:Revisão Textual

Área de estudo:Administração

Documento 1

ipt. pt www. cph. ipt. pt N. Do arquivo ao Plinto: Estratégias de investigação em museus Ana Temudo ………………. ……………………………………………………………………………………………………… 171 Refletir sobre a avaliação das práticas de mediação cultural: Caso do Museu Casa do Infante Ana Catarina Pereira, Alice Lucas Semedo ………………………………………………………………………. O Museu enquanto espaço de memória e esquecimento: o caso da coleção de postais ilustrados do Coronel José Marcelino Barreira Célia Oliveira …………………………………………. Comunidade dentro do Museu? Como assim? O Caso do Museu Eugênio Teixeira Leal / Memorial do Banco Econômico - Salvador / Brasil Guilhermina de Melo Terra ……………………………. Projeto Cividade: arrisca-te a tecê-los Manuel Horta ………………………. M. Teixeira & C. ª (Filhos) Lda. p. STRATEGIE E PARADIGMI IN ANTROPOLOGIA COGNITIVA: UN PROTOCOLLO DI STUDIO Massimo Squillacciotti Antropologia Cognitiva, Università degli Studi di Siena Rettorato, via Banchi di Sotto 55, 53100 Siena ITALIA massimo.

E' la zona: forse a certi potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è proprio come l'abbiamo creata noi, come il nostro stato d'animo. Proposizioni 1 1 - La scienza è un "sistema di conoscenza" composto da un apparato di oggetto, teoria e metodo. La scienza moderna è stata "predicata" nella sua fondazione di forma "borghese" come oggettiva, universale e neutrale, e questo paradigma spesso viene ripetuto ancora oggi nonostante lo smascheramento del suo procedere per "paradigmi indiziari" (1). Per quanto riguarda l'Antropologia, l'oggetto di ricerca e di studio è individuato nelle Culture - o in alcuni suoi campi specifici - espresse nelle forme di vita sociale, trasmesse in un Ambiente storicamente determinato, attraverso le diverse generazioni e gli spazi antropizzati. Nella storia degli studi l'Antropologia ha elaborato nel tempo una serie di teorie riguardo l'Uomo e le Culture, come l'evoluzionismo, il funzionalismo, lo strutturalismo.

L'oggetto della conoscenza, della "predicazione" non ha il valore di "predicato", nel senso grammaticale del termine, ma di "interpretato" perché, per l'appunto, il predicato è ciò che si dice del soggetto stesso, è ciò che lega l'azione della conoscenza al soggetto - come dire che si può predicare qualcosa di qualcos'altro a certe condizioni del soggetto. La continua interazione tra evento e interpretazione si gioca sulla necessaria differenza dei due elementi, proprio nel senso in cui Gregory Bateson pensa che ogni significato dell'informazione e della comunicazione dipende dalla differenza che dà senso all'unità necessaria (5). Il fare ricerca non implica solo una tecnica riduttivamente empirica di raccolta materiale di dati e di produzione di documenti; il fare presuppone e consiste in una procedura intellettuale, in un'operazione logica e sistemica. Scopo della conoscenza, anche in Antropologia, non è fare un doppione della realtà nella illusione che la scienza sia "specchio" del reale, esaurisca la conoscenza nel riprodurre totalmente l'oggetto "com'è in sé", ma scopo della conoscenza è riconoscere certe caratteristiche dell'oggetto e tralasciarne altre che ugualmente l'oggetto può presentare, cioè elaborare concetti e classi attraverso cui poter "rappresentare" la realtà.

«L'antropologo non si occupa solo della semplice descrizione, ma tende a un grado leggermente più alto di astrazione, a un grado maggiore di generalizzazione. Gardner H. – si forma in realtà con l’assumere una serie di tematiche e filoni di studio ben più ampi ed antichi, presenti fin dall’origine degli studi sociologici ed antropologici della fine dell' 800. Le radici storiche dell’Antropologia Cognitiva emergono negli studi antropologici come un crescendo che, provenendo nel tempo da diversi campi, confluiscono negli ultimi 20 anni in un complesso dai molti interessi ma unificato nelle intenzioni di ricerca (12). La formazione nella ricerca etnografica sul campo affina le abilità dell'antropologo nel passaggio alla ricerca cognitiva ed etno-cognitiva come analisi dei processi di pensiero altrui, anche in relazione e nel confronto con le risultanze di altri settori di ricerca della scienza cognitiva.

La ricerca nel campo dell’antropologia cognitiva ha due tempi: 1 - nelle specifiche Ambientali delle forme cognitive nelle relative espressioni alla ricerca della loro logica compositiva (infra). Fonte: Elaborazione grafica di M. Squillacciotti. Due i paradigmi dell’antropologia cognitiva o studi etno-cognitivi: la specie umana è unitaria dal punto di vista biologico e psichico; la diversità di forme del pensiero è dovuta alla diversità delle forme culturali entro cui le prime vengono prodotte e devono essere spiegate. L’Essere e l’"Essenza" dell’umano non sono Enti, Ontologie ma sono e vanno analizzati come fatti complessi derivanti da processi, determinanti processi, inseriti sempre in processi, in una relazione di costante azione e retro-azione; sono essi stessi processi, a condizioni storiche date. Non è stato il cervello il luogo di partenza e di promozione del “divenire uomo”, ma la caratteristica costitutiva dell’essere umano, inteso in quanto Intero; i fondamenti "storiconaturali" di partenza della specie umana, del suo processo di ominazione, sono: la postura eretta - il bipedismo - la mobilità della mano (13).

L’Uomo nel trasformare il mondo lo conosce, in questo suo operare lo conosce ed in questa conoscenza entra in relazione significativa e pertinente con i suoi con-simili e con il resto del mondo. L’Uomo, nel significare il mondo, nel costruire la rete di significati delle cose nel mondo, dà senso alla propria collocazione nel mondo ed appartenenza alla sua specie ed al mondo stesso (22). Gli artefatti cognitivi formano e vanno considerati come un eco-sistema: un Intero complesso di parti o elementi formato da un Interno ed un Intorno. Poniamo la creatività oltre che nella sfera dei valori, piuttosto come processo cognitivo di produzione di senso nell’esserci. E del ciò che non si conosce ancora nell’esperienza, dell’incognito che possiamo però pensare, immaginare e, quindi, percepire in un processo creativo di costruzione.

L’Antropologia Cognitiva (25), dunque, studia la cognizione, secondo i paradigmi già enunciati. Con il termine cognizione (26) indichiamo il processo mentale di com-prensione delle regole che governano il mondo e di significazione del mondo, processo attivo di presa di possesso e di attribuzione di significato del sé e dell’ambiente naturale e culturale da parte dell’uomo. La cognizione è una condotta intelligente, è azione e si struttura utilizzando gli organi di prensione, di senso e poi di parola; occupa il tempo e lo spazio; si svolge con un ritmo. La cognizione, processo di mediazione mentale del soggetto (che si costruisce come persona) con il sé, gli altri ed il mondo in un ambiente, è: incorporata – contestualizzata – situata – distribuita – socializzata – cumulativa – mediata - tacita. Essa è rappresentabile come determinata e determinante del processo relazionale: 51 - Cognizione: processo attivo di pensiero in cui la messa in relazione del sé con le "cose" - e quindi tra le cose - configura nella mente la comprensione delle regole compositive e permette al soggetto (sociale, storico) di comporre e riproporre la logica algoritmica di produzione materiale e simbolica.

Il processo del rispecchiamento neuronale e cognitivo di tipo socio-genetico configura a sua volta un processo di morfogenesi in cui si attua la struttura funzionale dei neuroni specchio. I neuroni specchio – che si attivano in attività di movimento ed in attività di osservazione del movimento altrui - sono motôri e si pongono come affordance tra le diverse aree manipolatorio-visiva e simbolico-linguistico del sistema nervoso e dell’attività neurologica. Le categorie del pensiero sono i "campi" di organizzazione del pensiero; le concatenazioni, inter-connessioni, messa in relazione, classi logiche e strumentali a cui il pensiero ricorre per organizzarsi e poter attivare il processo di significazione; strumenti di organizzazione del pensiero, del mondo e delle relazioni sociali. Queste categorie, trasversali alle culture, sono tempo, spazio, quantità, colore, forma (ovvero: relazionalità, coordinamento, logica delle relazioni).

Le categorie del pensiero sono "tecnologie dell'intelletto", cioè artefatti simbolici come strumenti di coordinamento per l'Uomo e la cultura delle relazioni tra le cose nel Mondo e la determinazione di una logica compositiva per la loro configurazione, rappresentazione ed espressione. Simonicca (a cura di), Ragione e forme di vita. Razionalità e relativismo in antropologia, Milano, F. Angeli, 1990. Vedi: L. Prieto, Borghese e proletario. Squillacciotti (a cura di), Orientamenti marxisti e studi antropologici italiani: problemi e dibattiti, Quaderni di «Problemi del Socialismo», Milano, F. Angeli, 1980, p. M. Squillacciotti, Le condizioni del fare ricerca. Note sul lavoro di campo, in Idem, Produzione e riproduzione nel gruppo domestico, «Studi Somali» n. p. C. Pasquinelli, Nuove differenze e vecchie disuguaglianze, «Problemi del Socialismo» n. p. G. in A. Lutri (a cura di), Modelli della mente e processi di pensiero, Catania, Ed.

It, 2008. Reperibile anche in ARLIAN. Vedi: R. Leone e D. Visca. P. Bonte e M. Izard. Squillacciotti, Postfazione. Prima lezione di antropologia cognitiva ovvero I sette giorni all’antropologia cognitiva in A. Lutri (a cura di), Modelli della mente e processi di pensiero, Catania, Ed. It, 2008, p. reperibile anche in ARLIAN. …] Il sovradimensionamento della corteccia cerebrale è stato certamente un modo efficace e rapido di cortocircuitare le antiche strutture e di acquisire nuovi dispositivi senza sconvolgere quelli precedenti, incorporandoli. Ha permesso, per esempio, l’aumento della capacità e delle performance dello spazio cosciente, la capacità di riconoscere i membri di un gruppo sociale, la capacità di imitare e di comprendere le interazioni sociali. Il territorio cerebrale più direttamente interessato da questa evoluzione è stata la corteccia prefrontale, che il neuropsicologo Aleksandr R. Lurija definiva l’organo della civilizzazione.

Vedi: C. Squillacciotti, Le mani per pensare, lezione del 12 maggio 2015 al corso di Robotica del prof. D. Prattichizzo, Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche, Università di Siena, in ARLIAN. M. Squillacciotti, Con gli occhi degli artefatti. L’elemento attivo di questa connessione è però l’uomo con il suo lavoro. Un algoritmo è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero determinato e finito di passi elementari, ovvero una sequenza ordinata e finita di passi (operazioni o istruzioni) elementari che conduce a un ben determinato risultato in un tempo finito. Riguardo al campo che qui stiamo sviluppando, con capacità di elaborazione di un algoritmo, intendiamo saper fare un ragionamento e trovare una forma di sua rappresentazione in grado di comprendere più variabili indipendenti relazionate tra loro, sia proposizioni linguistiche come il sillogismo, sia procedure operative delle mani, sia operazioni di concatenazione logica di una operazione formale attraverso il passaggio a più fasi.

Si tratta, quindi, di un’operazione logica mentale guidata da mani, occhio, cervello prima e poi, eventualmente, estesa all’uso della lingua (bocca, orecchio, cervello). Ricorsivo è il fenomeno per cui una regola può essere applicata al risultato di una sua stessa precedente applicazione; così in generale nella produzione di artefatti materiali (la pietra levigata del neolitico), gli strumenti diventano tridimensionali e si realizzano oggetti taglienti già preparati per la produzione di altri oggetti taglienti. Unicamente umano. Storia naturale del pensiero, Il Mulino, Bologna, 2014. G. R. Cardona, Categorie di pensiero e categorie di lingua, in Idem, I linguaggi del sapere, Roma-Bari, Laterza, 1990, p. anche in ARLIAN. Da una parte il primo termine del nesso - senso logico - non è introdotto a livello dell'oggetto ma è fissato a livello di teoria dell'oggetto, come definizione di campo che, differenziando appunto le due facce di un oggetto, fissa con il grado zero un prius logicoteorico a prescindere dai caratteri dell'oggetto e delle sue relazioni.

Dall'altra il secondo termine – senso storico – assume invece la realtà e l'atto di pensiero come punto di partenza dell'analisi: il posterius si definisce allora come un complesso le cui relazioni vanno enunciate e definite sulla base di un'analisi storico-culturale specifica. Per una panoramica sulle diverse questioni in Antropologia Cognitiva vedi i saggi curati da A. Lutri: Modelli della mente e processi di pensiero, Catania, Ed. Murray) definisce una delle condizioni della cultura proprio nel suo essere acquisita dall’uomo in quanto membro di una società: «Cultura o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro di una società. Anche in P. Rossi (a cura di), Il concetto di cultura, Torino, Einaudi, 1970, p.

E. B. Palermo: Sellerio, 1986. BATESON, G. Verso un'ecologia della mente. Milano: Adelphi, 1976. BERREMAN, G. BOROFSKY, R. Ed. L’antropologia culturale oggi. Roma: Meltemi, 1994. BURAL d'AREZZO. Roma-Bari: Laterza, 1990, p. CRAIGHERO, L. Neuroni Specchio. Bologna: il Mulino, 2010. DEI F. GARDNER, H. La nuova scienza della mente. Storia della rivoluzione cognitiva. Milano: Feltrinelli, 1987. GINZBURG, C. Note di ecologia della cultura. Roma: Meltemi, 2004. IACOBONI, M. I neuroni a specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri. GRASSENI, C. RONZON, F. Ed. Roma: Meltemi, 2001, 2004. LEROI- GOURHAN, A. M. La scienza è davvero universale?, lezione al Collegio Santa Chiara. Università degli Studi di Siena, 4 ottobre 2007 nell'ambito del Progetto di Formazione "Margine, Soglia, Confine, Limite". Arlian. LÉVY-LEBLOND, J. Riflessioni sull’opposizione natura-cultura in antropologia. Firenze: Seid, 2009. LUTRI, A. Forme di vita e natura umana. Una mappa per il sapere antropologico.

Mente e tecnologia. Evoluzione della conoscenza e sostenibilità. Milano: F. Angeli, 2010. PASQUINELLI, C. Berkeley: University of California Press, 1977. RIZZOLATTI, G. SINIGAGLIA, C. So quel che fai, Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Milano, Raffaello Cortina Editore, 2006. SOBRERO, A. M. SQUILLACCIOTTI, M. Eds. Orientamenti marxisti e studi antropologici italiani: problemi e dibattiti. Reperibile anche in Arlian. SQUILLACCIOTTI, M. La parola, l'immagine e la scrittura: una prospettiva etno-cognitiva. In Thule - Rivista italiana di studi americanistici. nº 4/5, 1998, p. Postfazione. Prima lezione di antropologia cognitiva ovvero I sette giorni all’antropologia cognitiva. In LUTRI, A. Ed. Modelli della mente e processi di pensiero. In CHIOCCA, M. VALLI, L. et al. Eds. L’innovazione responsabile. Unicamente umano. Storia naturale del pensiero. Bologna: Il Mulino, 2014. WARNIER, J. P. L'immaginario e la costruzione dell'umano, lezione alla Fondazione San Carlo, Modena, 2007.

SITO DI RIFERIMENTO ARLIAN - sito web del Laboratorio di Arti e Linguaggi in Antropologia. Università degli Studi di Siena. All’indirizzo www. URL: http://arlian. Laurier Turgeon (2007) reconnaît une importance prépondérante à la mémoire, parce qu'elle permet aux relations entre les gens et les choses de durer dans le temps. La mémoire qui se dépose sur les objets, à travers les récits des personnes et la biographie culturelle de l'objet, sert certes à renforcer un lien social mais conçoit également une ouverture de l'espace de l'agentivité des choses qui, gardiens du monde narré, surgissent soudain dans notre vie quotidienne. Dans Du Côté de chez Swann, Marcel Proust, a mis en évidence, par le goût des madeleines, la relation entre les objets et la nostalgie.

Les petites madeleines évoquent pour Proust des souvenirs qui permettent de jouer avec les situations émotionnelles de sa vie. Selon Octave Debary et Laurier Turgeon (2007) la Recherche de Proust explore une mémoire involontaire qui émerge spontanément dans le contact avec les objets de notre vie quotidienne, car ils sont animés par ces “morsures de la mémoire” envers l'objet perdu. C’est dans les objets que se loge la mémoire du passé, les transformant ainsi en témoins du temps. On assiste alors, au cours des différents cycles de la mode ou des générations familiales, à la recherche d'un temps perdu que la présence de l’objet évocateur d’un passé indéfini est à même de restituer. La nostalgie se manifeste souvent envers des objets désuets, chassés par le présent et considérés comme irrémédiablement perdus.

Ils sont en même temps des objets précieux, témoignage de l’irréversibilité du temps, de l’inéluctable évolution du monde matériel, de sa cruauté envers l’objet et de la mémoire qu'il contient. Les caves, les garages, les greniers, sont les lieux d’une nostalgie cachée souvent recherchée par les générations suivantes, à partir d’une quête nécessaire d'identité et de continuité familiale, jusqu'au besoin même de nostalgie pour quelque chose qui n'a pas vécu (voir APPADURAI, 1996). Figure 1. Chien rouge Lenci. ©Pietro Meloni. Ces dieux lares, comme l’a dit Baudrillard (1968), sont destinés à maintenir l'aura de ceux qu’ils les ont possédés – le hau de Marcel Mauss (1924) – et à créer la nostalgie du passé chez ceux qui les possèdent à présent.

Les objets deviennent lieux de contemplation et de soin, parfois substituts des liens affectifs et qui expriment en même temps la persistance – ou la construction – d'une mémoire longue (ZONABEND, 1980; BONIN, PERROT, 1989), enracinée dans la transmission familiale. je pense que nous étions dans les années 60. Lenci était une usine de Turin et elle produisait ce chiffon que tous les gens appelaient Chiffon-Lenci. Ma tante Giulia a travailler dans le secteur des poupées, qui sont, pour la plupart, cousues à la main. Il y avait un certain nombre de femmes qui cousaient ces poupées à la main – peut-être qu’elles utilisaient aussi les machines, mais je sais que la finition et les détails se faisaient à la main. Donc ces poupées étaient particulières et uniques, parce-que l’une avait le chapeau bleu, une autre rouge et ainsi de suite.

J’ai une poupée avec les cheveux blonds, une autre, la plus belle de toutes, elle avait une tête …comme ça, regarde, une grosse tête … les cheveux très courts… ces poupées sont toutes blondes, peut-être parce-que je suis blonde aussi. Cette grosse tête avec les cheveux très courts et décoiffés qui… à ce temps-là, les années 70, cette poupée, on peut dire…, elle était transgressive… Je la garde, c’est un souvenir, une chose que… ce n’est pas un «Cicciobello» ! Cicciobello…. il n’y a pas de temps, il n’y a pas d’histoire, il y en a toujours, c’est comme «Barbie» ! Je ne suis pas attachée à mes poupées Barbie… par contre mes poupées de chiffon Lenci sont uniques, il n’y a personne qui les produit, elles sont nées comme poupées de collections.

Ce sont des objets uniques, faits a la main… mais elles sont aussi liées à l’histoire de ma famille, à ma tante émigrée à Turin, qui les produisait elle-même… il y a une histoire affective aussi, voilà… Les objets possèdent un grand nombre de valeurs, modelées par leur propriétaire et par la biographie que l’objet a acquise au cours de sa vie sociale. Les poupées et les animaux Lenci nous permettent de mettre en évidence différentes expériences ainsi qu’une grande affectivité. Propriétaires Carlotta Fortini Donneur Giuliana Fortini Biographie de l’objet Jouet pour enfant; produit artisanal ; utilisation de matériaux nobles (laine) ; faillite de l’usine Lenci ; réinsertion sur le marché comme objet de collectionnisme. Biographie de l’objet liée Cadeau de la tante ouvrière à l’usine Lenci ; poupée de chiffon à son propriétaire pour jouer ; objet caché dans un grenier jusqu’à ce que le propriétaire soit devenu grand (conclusion de la première phase de sa vie sociale) ; récupération de l’objet et usage comme objet de collectionnisme lié à deux moments précis : la faillite de l’usine Lenci et la mort de son oncle qui, avec sa tante Giulia, lui a donné la poupée ; enfin elle devient témoignage de la nostalgie vers le passé (changement de sa biographie culturelle).

Première fonction Jouet pour enfant Fonction suivante Objet de collections Fonction actuelle Objet d’affection Usage L’objet a une fonction d’exposition et n’est pas utilisé. Placement dans le milieu Exposé dans la bibliothèque de la maison Fortini. La carrière des objets est un parcours vers la patrimonialisation qui s’effectue à travers l’éloignement dans le temps et la disparition de l’objet sur le marché de la consommation de masse. Ainsi, écrit Bromberger, tout ce qui est fait main, l’objet artisanal, l’unique, la fabrication familiale et la transmission familiale (BROMBERGER, CHEVALIER, 1999: 12) s’opposent à la tendance de la mode du jean ou de l’hamburger. Bromberger a défini ce comportement comme un retour au passé face à la banalisation des pratiques culturelles et des produits fabriqués en séries du monde contemporain; attitude que nous pouvons appeler, comme l’a dit Pietro Clemente, une posture du souvenant (CLEMENTE, 1999) pour laquelle grâce à la récupération des formes du passé on essaie de projeter dans le futur des positions qui dérivent des objet destinés à demeurer liés à leur fonction de témoins d’un temps perdu.

La fabrication manuelle, la tradition artisanale sont pour Carlotta à la base d’un processus d’authentification qui se sert de plusieurs éléments pour vérifier la conformité à un modèle traditionnel: l’histoire, la mémoire, l’exposition muséale, la réputation de l’objet et du fabriquant (voir WARNIER, ROSSELIEN, 1996). Figure 4: Lenci. ©Pietro Meloni. Il s’agit d’un éloignement temporel qui met le consommateur sur un plan complètement diffèrent par rapport à tous les individus qui investissent leur propre sens de la distinction dans les produits fabriqués en série du marché de masse. Nous pouvons développer aussi un autre type de comportement envers les objets d’affection, lié au devoir de préserver la mémoire de son propriétaire à travers la protection et la conservation de l'objet.

Conclusions C’est à travers les objets que l’on préserve la mémoire de ceux à qui ils ont appartenu, et que l’on maintient en vie la mémoire de nos chers. L’objet d’affection représente le devoir de témoignage de la présence d’un individu dont l’unique mémoire sensible est liée à l’objet qu’il a laissé derrière lui. C’est aussi une façon de consommer l’histoire, la mémoire des événements gravés dans les objets, mais qui diffère probablement de la passion pour le collectionnisme. APPADURAI, A. Modernity at large. Cultural dimensions of globalisation. Minneapolis: University of Minnesota Press, 1996. APPADURAI, A. Vicinanza estranea. La cultura popolare fra globalizzazione e patria. Pisa: Pacini Editore, 2008. BRAUDEL, F.

Civilisation Matérielle, économie et capitalisme, XV-XVIII siècle, Vol. Le décor domestique en Margeride. Terrain. ISSN 1777-5450. nº 12, 1989, p. CALVINO, I. CLEMENTE, P. La postura del ricordante. Memorie, generazioni, storie della vita e un antropologo che si racconta. In L’ospite ingrato. Annuario del centro studi Franco Fortini. Objets et mémoires. Paris: MSH. DEI, F. Hermann Bausinger: dal folklorismo all’antropologia della cultura popolare contemporanea. In BAUSINGER, H. KÖNIG SCAVINI, E. Una bambola e altre creazioni. Torino: Il Quadrante, 1990. KOPYTOFF, I. The cultural Biography of things: commoditization as process. I, 1924, p. MELONI, P. I modi Giusti. Cultura materiale e pratiche di consumo nella provincia toscana contemporanea. Pisa: Pacini, 2011a. Culture domestiche. Saggi interdisciplinari. Firenze: Olschki, 2014. PRETE, A. Ed. Nostalgia. Storia di un sentimento. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1992, p.

TURGEON, L. La mémoire de la culture matérielle et la culture matérielle de la mémoire. Eds. Authentifier la marchandise. Anthropologie critique de la quête d’authenticité. Paris: L’Harmattan, 1996. WEINER, A. com; info@annaluanatallarita. com Spazio, Azione e Comportamento Anna Luana Tallarita Historial do artigo: Recebido a 30 de janeiro de 2016 Revisto a 23 de fevereiro de 2016 Aceite a 12 de março de 2016 RIASSUNTO Parlare di potere e dei suoi metodi di azione nello spazio dove l’individuo si pone in relazione con l’altro ci conduce a mettere in relazione l’essere umano alle altre specie animali e ai comportamenti derivati da tale confronto. Il tema del potere, presenta un’ampia cornice fatta di atteggiamenti adattivi e disadattavi rispetto a un ambiente vissuto, in relazione all’individuo e al suo spazio e ai comportamenti motivati dall’aggressività, dalla paura, spesso utili per l’imposizione di un potere o da quelli di difesa che ne scaturiscono.

Tramite gli studi nel campo dell’etologia si può analizzare e fare un parallelismo sul comportamento delle altre specie animali. Parole chiave: Comportamento; Spazio; Ambiente; Evoluzione; Potere. È possibile affrontare con uno spirito critico le relazioni di potere tra gli esseri umani, se osservati entro uno specifico spazio, che risulti connesso a tutta una serie di simbologie e comportamenti. Dall’approccio all’istituzione del potere come azione che manifesta se stessa, alla marcazione del territorio e la possibilità di non avere rivali per la riproduzione con le varie correlazioni. Si affiancano a questi altre tipologie di reazioni specifiche relazionate alla sfera del potere e questo perchè alla base del vivere si fondamentano i rapporti tra il potere e l’individuo tra il simbolo e lo spazio, la cui percezione avviene entro le relazioni individuali e sociali, conseguenze comprese.

Esistono molte realtà per quanti siano i soggetti a percepirla, ogni organismo può essere definito come monádico e detentore di un proprio modo di percepire la realtà di cui possiede un'esperienza diretta, soggettiva e specifica. I fenomeni pertinenti alla vita di una specie biologica non sono trasferibili ad altre specie in quanto l’esperienza della realtà da parte di due organismi distinti è specifica e non assimilabile tra loro. Figura 1. R. Felicioni sog. Al. Tallarita Evoluzione Nell’ultima edizione di Origin of species, 1860 il riferimento alla selezione naturale è l’agente principale dei mutamenti ma non l’unico (DARWIN, 1871: 87) (2). Similmente la persona umana dopo aver scoperto la realtà attua alcune strategie per adattarsi al suo ambiente (4) (UEXKÜLL, 1967). L' animale Simbolico 3. La Dimensione dell'animale uomo Il sistema simbolico per l’essere umano si pone come uno stadio intermedio tra il sistema ricevente e l’emissario ed è presente nelle varie specie animali.

L’individuo cerca una comparazione tra sé e le altre specie. Attua un processo percettivo condizionato da una presa di coscienza consapevole. L'atteggiamento simbolico dell'essere umano deve essere distinto dai comportamenti delle altre specie e gli esperimenti di Ivan Pávlov (5) sugli stimoli rappresentativi hanno prodotto numerose conferme a sostegno di queste teorie. Il sistema nervoso svolge un ruolo dominante nel regolare il processo digestivo, e questa scoperta è di fatto la base della moderna fisiologia della digestione. Le ricerche lo portarono a definire una scienza sul riflesso condizionato. Diverse ricerche sperimentali hanno contribuito alla comprensione del rapporto essere umano-simbolo, uno studio effettuato su scimmie antropoidi ha messo in evidenza la realtà della risposta legata ai segni (6), i risultati raggiunti attraverso i numerosi esperimenti d’apprendistato hanno dimostrato che nel comportamento 043 | delle scimmie antropoidi hanno luogo dei veri e propri processi simbolici.

Robert M. Questa differenza tra i due tipi di linguaggio rappresenta la frontiera tra il mondo umano e quello animale (CASSIER, 1967). Si è tracciata una distinzione tra i due tipi di linguaggio sulle basi della psicologia del linguaggio il neurologo inglese Jackson ha introdotto il termine di linguaggio proposizionale, contrapposto a linguaggio emotivo. Ed utilizza questa definizione nella descrizione di situazioni patologiche. Soggetti affetti da afasia pur non perdendo la competenza sull’uso della parola, non possono usarla in senso obiettivo nella psicopatologia del linguaggio, le teorie di Jackson sono risultate fondamentali. W. Jean-Jacques Rousseau Per Jean-Jacques Rousseau (16) l’essere umano che pensa è un animale corrotto che agisce attuando una reversione dell'ordine naturale entro un universo simbolico costituito per: il linguaggio, il mito, l'arte e la religione legati all'esperienza umana. Attraverso l’esperienza gestita a partire dall’attività simbolica si perde il contatto con la realtà materiale e l’essere umano attraverso il dialogo con le immagini artistiche, i simboli mitici, le religioni e in conversazione con il proprio sentire ha conoscenza di una nuova realtà alla luce di tutte queste esperienze (17).

Da tale esperienza simbolica si apre la via per la manifestazione individuale nella società oltre che per la sua comprensione. Il progresso culturale si basa sul pensiero simbolico la cui azione caratterizza e rappresenta le specificità della vita umana. Linguaggio: Similitudini e Differenze Nonostante le similitudini che possono riscontrarsi se si pone in paragone l’atteggiamento dei primati nei confronti del linguaggio e dell’approccio simbolico, è importante operare una distinzione tra segni e simboli tenendo presenti anche le differenze dovute a un’evoluzione che conduce a stadi diversi rispetto all’essere umano. Alcuni comparti della memoria a cui l’animale ricorre sono stabiliti nel sistema nervoso centrale, componenti differenti intervengono per la memoria a breve e a lungo periodo. La prima questa implica alcune reazioni di tipo elettrico dovute alle stimolazioni ricevute e non va oltre i pochi minuti in quanto subito rimossa.

La memoria lungo periodo implica delle reazioni biochimiche delle cellule nervose ed è accompagnata da un nuovo contatto tra le cellule, inoltre si unisce l’abitudine quale comportamento acquisito che spinge gli animali a compiere attività dando priorità a quelle di rilevanza biologica non interrotte da situazioni intervenute successivamente. L’animale impara così a non reagire se lo stimolo che sente non è accompagnato da conseguenze sgradevoli con una risposta ascritta al sistema nervoso che non nasce da un adattamento sensoriale. Il condizionamento abbraccia ogni sfera dell’apprendimento favorendo lo sviluppo delle associazioni ricompensa-punizione come risposta dell’animale. Possono collaborare proteggendo gli individui più deboli o negli spostamenti accompagnare i più giovani e le femmine posizionandosi davanti e dietro. I segnali di dominanza e sottomissione tra i primati sono vari, l’atteggiamento di dominio ad esempio implica un andamento nell’andare rilassato e fiducioso con un approccio diretto ai subordinati.

Camminando guardano di lato o si scostano con un andare esitante e una postura accasciata. La gerarchia di dominanza nelle società dei primati funziona bene e assicura la cooperazione pacifica nel gruppo così che tutti gli individui conoscano le loro posizioni e sappiano come rispondere a tutti gli altri membr. Il lavoro di Harry Harlows (20) con i macachi mulatti ha chiarito la natura di questi rapporti sociali tra i primati, da questi si evince come inizialmente la dipendenza del cucciolo dalla madre sia così forte da fare sì che questa non si allontani mai molto, con il cucciolo che si aggrappa alla madre al primo segnale di minaccia. Il segno concreto ed individuale si riferisce ad una certa cosa specifica a cui è relazionato (24). Analogie e differenze tra i primati 5. La Scimmia Nuda Desmond Morris Con la Scimmia Nuda Desmond Morris nel 1967 (25) ha contribuito a comprendere la pecie umana in un più ampio contesto, ponendo l’osservatore nei confronti dei comportamenti quotidiani con il distacco e l’ironia della scienza.

In un excursus che muove dalle abitudini sessuali a quelle alimentari, dai riti sociali alla passione per l’arte e per il gioco, dalle forme dell’educazione alle attività professionali l’Homo sapiens lo scimmione senza peli è soggetto a numerose interpretazioni. Basta sottolineare un elemento o l’altro della sua vita e diventerà scimmione: verticale o fabbricatore di attrezzi o intelligente, territoriale o insegnante (MORRIS, (1967). Gestisce questioni di potere e per farlo parla, compie azioni e usa strumenti che palesino tale potere, la cosa importante è definire in che modo le relazioni e i comportamenti siano modificati dal potere che questo manifesta e detiene. Darwinismo e Concezioni Successive Il potere fine a se stesso non avrebbe realtà d’esistere in quanto è concepito nella misura in cui possa essere imposto e in cui sia confermata la presenza in un determinato spazio.

I primati per il professore Andrea Moro (28), possono imparare centinaia di vocaboli come avviene nei bambini grazie alla facoltà della memoria che è presente persino nei batteri. Dopo i due anni però nell’essere umano emerge una facoltà nuova: la sintassi o composizione delle parole in frasi che esplode dopo i cinque anni e rimane una caratteristica tipicamente umana. Si tende a escludere che il linguaggio si sia sviluppato per una pressione evolutiva sul piano della comunicazione o anche le scimmie e le altre specie dovrebbero avere un linguaggio simile a quello umano (Sole24ore, 09. Il darwinismo aveva avuto degli antecedenti già partire dai Padri della Chiesa: S. Gregorio di Nissa (34) e S. Agostino (35) che parlavano di rationes seminales, immesse dal Creatore nella natura di base dell’origine di nuove specie oltre a quelle create da Dio e da lì il passo sarebbe stato lungo per arrivare alle teorie derivate dagli sviluppi dello stesso darwinismo unito alla genetica moderna e alla teoria sintetica, fino alla scoperta del DNA che approda agli studi derivati dalle scoperte dell’evoluzione molecolare.

Rationes seminales locuzione latina «ragioni seminali», che traduce il greco λόγοι σπερματικοί. Venne usata la prima volta da Cleante di Asso e da altri stoici per indicare i principi vitali delle cose immanenti al pneuma o al logos e che garantiscono la vita, la continuità e la razionalità dei singoli esseri nel tutto. Si giunse così ad un importante movimento sviluppato da alcuni psicologi americani il behaviorismo o comportamentismo, il cui fondatore e teorico John Broadus Watson (38), sosteneva che ogni comportamento sia umano che animale è analizzabile in termini di stimolo e di risposta, la cui unica differenza tra essere umano e l’animale è la complessità del comportamento. Darwin nel testo l’Origine dell’Essere umano (39) e nega che tutti gli esseri umani siano uguali, facendone però una questione di razza e di genere (2013, [1871]), risentendo dell’ambiente ottocentesco considera l’assoluta validità di alcune delle sue teorie sull’evoluzione.

Queste a base delle critiche mosse alla sua teoria sono altresì state utilizzate quali fondamenti di teorie basate sulla presunta inferiorità di altri esseri umani e giustificati dalla motivazione evoluzionistica. Aspetti importanti della storia evolutiva dell’essere umano sono messi a fuoco dagli studi di antropologia, paleontologia, neuroscienze, genetica e linguistica nonostante gli studi i meccanismi che determinano e regolano le reali facoltà cognitive non sono così palesi da comprendere complesse funzioni che presiedono alla creatività e al senso morale. Le conclusioni parziali a cui si puo’ giungere devono tenere in considerazione che mancano posizioni unilaterali in merito, la scienza continua a fare i suoi studi e di tutt’altra natura sono le constatazioni etico-morali. On the origin of species by means of natural selection, London; Trad. It. L’origine delle specie per selezione naturale con le appendici e le varianti della sesta edizione Roma 1995.

Darwin C. The descent of man, and selection in relation to sex, London, 2 voll. Autobiografia, Milano 1967. DarwinC. Wallace A. R. Introduzione all’evoluzionismo, Roma. J. B. Wolfe Effectivness of token-rewards for chimpanzees: Comparative Psychology Monographs 12, N°5. Robert Mearns Yerkes (1876 - 1956), psicólogo, etólogo, primatólogo che fondò il primo centro di ricerca sui primati negli Stati Uniti, incluse nel suo programma di ricerca studi sull'intelligenza nelle scimmie antropoidi. Chimpanzees. Pre-linguistic Sign Behavior in Chimpanzee Science LXXXIX, 587. Cassirer, Ernst Essay on man, 1967 Yale University Press, New Haven, Connecticut. Sulla vita e il pensiero di Jean-Jacques Rousseau si veda Cap. I pg. nota 46. Tit. Orig. The Study of Behaviour 1 Ed. Edward Arnold (1966). Konrad Zacharias Lorenz (Vienna, 7 novembre 1903 – Altenberg, 27 febbraio 1989) zoologo ed etologo austriaco. Koehler (1929) Chance and Imitation. R. M. y AWYerkes,TheGreatApes.

New Haven: Yale University Press. Morris D. L'animale Essere umano, Arnoldo Mondadori editore. Umberto Veronesi (Milano, 28 novembre 1925) chirurgo e politico italiano. Andriola M. Principi di Etologia del Comportamento Animale Elementi di Etologia Giornale di neuroscenze psicologia e scienze cognitive on line. L'ultima abitazione di Jean-Henri Fabre la Harmas de Sérignan in Provenza, è oggi adibita a museo. Fabre J. H. Souvenirs entomologiques, Delagrave Paris 1886, tr. It. J. Darwin and intelligent Design. Minnepolis: Fortess Press, 2006. AYLA, F. J. di 238. Payot: París, 1926. BRENTARI, C. Jacob von Uexküll. Alle origini dell'antropologia filosofica. Comportamento Animal. Coleção Temas de Biologia, Vol 14 EPU. Editora Pedagógica Universitária: Brasil, 1979. DARWIN, C. L’origine delle specie. Tit. orig. The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex, 1871. DE WAAL, F. Chimpanzee Politics: Power and Sex Among Apes.

H. Souvenirs entomologiques. Torino: Einaudi, 1981. FAUCAULT, M. Les Mots et les Choses. F. The maternal affectional system of Rhesus monkeys. In Maternal behavior Mammals. RHEINGOLD, H. L. INGOLD, T. Ecologia della cultura, Abitare o costruire: come uomini e animali fanno del mondo la propria casa. Roma: Meltemi, 2004. KOEHLER, V. Chance and Imitation. Phenomenology of Perception. London, 1982. MORO, A. I confini di Babele. Milano: Longanesi, 2006. W. Symbolism and Reality: A Study in the Nature of Mind. Dissertation, University of Chicago. Frankfurt: Suhrkamp, 1993. MORRIS, C. XLIII, nº 9, 1940, p. SAPIR, E. Language: An Introduction to the Study of Speech: Bibliographic Record. Harcourt, Brace and company: New York, 1921. SANT' AGOSTINO - Le Confessioni. VOLKER, W. Gregorio di Nissa filosofo e mistico. MORESCHINI, Claudio (Ed. Vita e Pensiero Edizioni EAN 9788834305645, 1993. VON UEXKULL, J. Ambiente e comportamento.

Milano: Il Saggiatore, 1967. YERKES, P. M. Chimpanzees. BALLY, C. Le langage et la vie. París. Revue belge de philologie et d'histoire Année 1926. Vol. persee. fr/doc/rbph_00350818_1926_num_5_4_6402_t1_0973_0000> [consultato il 10/4/2014 H 22,30]. Disponível na www. URL: http://magazynsztuki. eu/old/archiwum/teksty_internet_arch_all/archiwum_teksty_online_25. A terminar, é brevemente referido o potencial do turismo cultural como factor de desenvolvimento social, económico e cultural. Palavras-chave: Património cultural; Conceito; Técnica; Reflexão. ABSTRACT This article seeks to acknowledge and interpret the concept of cultural heritage, reflecting critically about its technical and theoretical aspects, such as conservation, listings, heritage education for local communities, it´s rights and property concepts, cultural heritage destruction, it´s interpretation and mediation. By the end it is briefly referred the potential of cultural tourism as a factor of social, economic and cultural development.

Key-words: Cultural heritage; Concept; Techniques; Reflection. Pode dizer-se que o holocausto reflectiu um valor de exemplaridade? Pode dizer-se que foi singular? Único e irrepetível? Ou, pelo contrário, está numa linha de continuidade do comportamento humano? Não se procura responder a estas questões ou apresentar soluções definitivas, no entanto, para evitar uma pobre interpretação da legislação acerca do património cultural propõe-se fazer compreender estas afirmações e conceitos, descodificá-los, torná-los acessíveis, uma vez que a maioria da população não foi preparada pelos trâmites da burocracia para entender de forma directa o que pretendem as leis base do património cultural dizer de si mesmas. Não havendo um investimento na educação patrimonial para dotar a população e as suas comunidades de uma maior compreensão das leis que estão a ser impostas ao património que também lhes pertence, dificilmente haverá cooperação e entendimento entre os pelouros da cultura e as suas comunidades.

A unidade e harmonia que se pretende entre política, cultura e sociedade, através dos trâmites oficiais, torna-se difícil de consolidar. Não havendo uma total disponibilidade para um debate aprofundado sobre quem, como, quando, de onde e por que é que controla a noção geral de património cultural, existem outras fontes de informação que auxiliam a compreensão daquilo que é um tema indissociável do desenvolvimento das sociedades. É também nessas fontes que se foca o desenvolvimento deste artigo. Determinou-se que a forma de o proteger é aplicando as mesmas regras que são utilizadas para preservação/conservação do Património material, como por exemplo, a inventariação. Contudo, mesmo para o património material, a inventariação não é suficiente: requer a aplicação de outras técnicas e uma articulação com as manifestações imateriais.

A UNESCO proclamou que o património imaterial “moribundo”, ou seja, património à beira de uma ruptura ou em risco de desaparecimento, responde aos critérios para ser listado e classificado, o que não só é limitativo como também é contraditório, pois se uma determinada prática se extingue numa determinada sociedade é porque já não constitui um objeto fundamental para a sua continuidade cultural, podendo dar lugar a uma nova “invenção” (HOBSBAWM, 2006) que perpetuará a construção cultural dessa sociedade. Segundo Alice Duarte (2009), a solução reside, em parte, na reformulação deste conceito, dado que as suas linhas de orientação acerca da conservação estão tendencialmente entregues a profissionais e pouco orientadas para os direitos das comunidades. Por conseguinte, tratar o património cultural imaterial ao nível oficial não é suficiente, porque é a dinâmica da construção cultural, conferida ao longo das várias gerações, que fomenta a sua continuidade.

PARTE 2 Aspectos e Teóricos do Património Cultural 2. Conservação do Património Cultural “Conservar é lutar contra o tempo. Procurar subtrair alguma coisa aos efeitos normais da destruição, da perda ou do esquecimento. ” (GUILLAUME, 2003: 45). Um dos aspectos que melhor caracterizam a existência e a continuidade do património cultural é o acto de o conservar na longa duração, ainda que esta seja uma acção contra natura (GUILLAUME, 2003). No domínio público, a eco-conservação, método que envolve a participação de todos num espaço aberto, ao ar livre, cujo objetivo é aproximar e fomentar valores sociais e ambientais. Opõe-se à museo-conservação, cuja organização é feita num sector fechado e vedado, com regras específicas, hierarquizado e orientado para um discurso “etic”. No domínio público de índole política, a conservação é utilizada para fins económicos e turísticos que proporcionam o desenvolvimento do próprio Estado, fixando-se, contudo, em valores obsoletos, de natureza passiva, confundida com um “ethos” preservacionista, arquétipos de outros tempos, desvalorizando, desta forma, o património cultural como um bem comum e de responsabilidade geral, remetido para um dos últimos planos das prioridades (GUILLAUME, 2003).

Patentes no ato de conservação existem os fatores “memória e objeto”, que se complementam e que formam o motor do ato de conservação. Segundo Guillaume (2003), existem: a conservação por “suspensão da destruição”, ou seja, intenções e vontades individualistas de manutenção de determinado objeto; a conservação pelo “valor”, seja económico, simbólico ou semiológico (sintomático), de um determinado período temporal ou espaço; a conservação por “simulacro”, reinvenções do passado, invenções de tradições (HOBSBAWM, 2002), ou mesmo literalmente, de simulação de um passado ativo, como o são as grandes feiras renascentistas nos Estados Unidos da América que também se podem incluir no ato de inventar; a conservação de “rememoração”, falando de um processo de reconciliação com o passado, através de datas festivas, feriados, rituais (e.

Caso contrário, apenas documenta um dado momento, num determinado espaço de tempo, pois a inventariação não se autorrenova, porque não é um ato dinâmico, social, como o é a manifestação cultural que pretende “proteger” e “valorizar” através da inventariação. Esta situação sugere a necessidade de uma abordagem crítica a toda a legislação e burocracia, sobretudo quando estas são produzidas em concordância com os organismos internacionais. Ainda sobre o ato de inventariar, de acordo com HUGUES DE VARINE (a, 2012), os métodos de inventariação deveriam ser voluntários e como resultado do que é indicado e apontado pelas comunidades onde o inventário é elaborado, pois o património cultural pertence às comunidades e é portador dos seus valores irredutíveis. Importa, acima de tudo, reconhecer que os cidadãos possuem uma vantagem indiscutível sobre o seu património e que inventariar não é suficiente.

Interpretação: um Método de Conservação Activo Independentemente do tipo de património - cultural ou natural, e do domínio geográfico de gestão - local, regional ou nacional, ele não sobrevive ao tempo sem ser interpretado. promoveu uma Rota do Contrabando no quadro das iniciativas inseridas no programa "Rotas da Terra" para 20062007, com um percurso que iniciou naquela cidade, passou pela aldeia de Oímbra e pelo Castelo de Monterrey em Espanha e culminou no moinho de Vila Meã. » (FREIRE, 2009: 265). Esta iniciativa inclui-se no projeto “Rota do Contrabando”(rotacontrabando. blogspot. pt), através do qual também se organiza o “Percurso Pedestre Transfronteiriço em Travessia «Rota do Contrabando - Ruta del Contrabando»", desde o ano 2000. HUGUES DE VARINE (a, 2012), sugere que o ato de classificar, seja ele mundial ou nacional “(.

tem efeitos perversos: Singulariza alguns elementos do patrimônio (. e exclui outros (. dificilmente compreensíveis fora de um contexto maior e complexo (. Constitui um privilégio aparente para os proprietários (…); Cria hierarquias no espírito público (…); Encoraja o tráfico e finalmente a dispersão dos bens culturais, indicando os lugares e os objectos que podem ser pilhados ou alvo de especulações; Desresponsabiliza os proprietários, público e privados, e a comunidade. Sem ignorar o valor intrínseco que pode advir de uma classificação patrimonial, como sejam a divulgação e a atribuição de valor internacional, ficam sistematicamente à margem as comunidades, sem autonomia e sem expressão crítica sobre o seu património. A longo prazo, a ausência destes dois factores no processo de classificação patrimonial retira-lhe sustentabilidade e credibilidade, porque o ato de classificação de património sem o envolvimento das comunidades (que o conservaram até hoje), torna-se incompleto.

Conforme explica Juan Torrico (2006): “Daqui resulta a condição paradoxal do património etnológico, categorizado com frequência como “património modesto” ou “património menor” face ao grande património histórico-artístico-monumental, quando boa parte dos referentes identificativos de todo o colectivo são precisamente tomados desta categoria, com valor acrescido da rica e complexa imbricação do passado com o presente (tradição) para dar forma aos modos de vida nos quais no desenvolvemos: língua, gastronomia, costumes, rituais, música e arquitectura tradicional, etc. ” (TORRICO, 2006: 28). Deve-se, assim, respeitar a seleção pelas comunidades do património considerado importante para passar à geração seguinte. Estas gerações que, gradual e naturalmente, selecionaram o que era relevante em matéria de valor cultural, vêem-se agora confrontadas com uma noção de “património”.

Este conceito chegou a Portugal recentemente e, por isso, não parece justo sobrepor noções “etic”, como a de “valor em si mesmo”, à de uma seleção natural. O Estado e as instituições que tutelam o património cultural deveriam procurar educar as comunidades neste sentido, evitando transpôr esta etapa, passando directamente à instrumentalização política do património. Outro forte entrave à educação patrimonial das comunidades reside na falta de oportunidades e autonomia, ajustadas aos diferentes ritmos de evolução, que o Estado deveria proporcionar. A educação patrimonial das comunidades não é uma prioridade do Estado, muito menos em fases de crise económica, porque a sua rentabilização não é imediata. Estes são os profissionais cujos investimentos lhes permitiram estar num patamar de liderança e de administração da sociedade.

No entanto, e frequentemente, as prioridades pessoais parecem estar acima das necessidades da população. Devem ser cultivados sentimentos de liderança baseados na cooperação, e não na supremacia, para que a sociedade possa ter oportunidade de ser informada e formada, e isto deixe de ser um ideal (VARINE, a, 2012). Património Cultural - O Exercício de Direitos e Conceito de Propriedade “One of the key issues addressed in instruments to safeguard intangible heritage has been the question about community rights. This is both because of the emphasis on addressing the historical marginalization of many forms of heritage (and the communities who practiced these heritages) and the necessity to support people who will maintain intangible heritage forms as part of safeguarding them”. Outra faceta destas questões de direito e propriedade está na esfera particular de cada indivíduo.

A tese de Cori Philips (2008) expõe um caso flagrante de apropriação. Gerber, um fotógrafo profissional de Indiana, nos EUA, retirou objetos arqueológicos nativo-americanos de uma propriedade privada e, por isso, foi sentenciado a um ano de prisão. “Gerber however, believed that he had every right to personally possess the artifacts as long he preserved and protected them. ” (PHILLIPS, 2008: 2). Para debater o tema da destruição patrimonial é útil recorrer ao artigo de Holtorf (2006), “Can Less be More?”. No exemplo que se segue, Holtorf (2006), explora o oportunismo mediático da dicotomia ocidental entre “povo civilizado”e“povo bárbaro”. O atentado de 11 de Setembro de 2001 às Torres Gémeas foi uma tragédia nacional americana, mas também internacional, que afetou globalmente a sociedade. Além da projeção do ato destrutivo em si, após a fase de luto e de reconstrução, este local tornou-se um local de culto.

Sujeito a técnicas de reinterpretação e reutilização, tornou-se rentável e viu o seu valor acrescentado. Trata-se de um templo feito de madeira, existente há vários séculos, que necessita de ser reparado (e reconstruído) de 20 em 20 anos. O seu estatuto de antiguidade não é posto em causa nem pela decadência natural do material e muito menos pela ativa recolha de relíquias levada avante pelos monges. O mesmo efeito se aplica às estupas. Estas são prova de que o património pode ser literalmente consumido, e isto não implica a sua destruição, mas antes uma construção constante. O autor pretende demonstrar que o consumo do património, inclusive o saque, são processos legítimos na construção patrimonial e que seria inocente desclassificar os monumentos que em alguma altura sofreram esta intervenção.

Já 069 | monium indica condição, estado, função. Deste modo, património se refere aos bens que são passados de geração em geração, sejam as riquezas herdadas como os saberes e costumes adquiridos. Apesar de estar relacionado com a ideia de propriedade, o patrimônio não se resume apenas ao que é material, mas a tudo aquilo que permaneceu ao longo do tempo entre os grupos e gerações. ” (SOUZA, 2011: 249). Em suma, património, é tudo aquilo a que o Homem atribua valor a material ou imaterial, através de processos individuais e/ou colectivos, mas culturais, e pelo qual sinta necessidade de conservação dinâmica. É a sua gestão a responsável pela aproximação do público, através da capacidade dos seus meios técnicos e humanos, para diagnosticar os contextos e os públicos, definindo planos estratégicos, e intervindo.

Havendo resposta, afluência e reacção, prova-se haver aptência por parte do Museu para mediar o seu património (PONTE, 2013). Turismo Cultural - factor de desenvolvimento “Quando, por exemplo, um turista visita uma determinada atração, ele não gasta somente o dinheiro no ingresso nesse local, eventualmente, despenderá de dinheiro na loja de souvenirs que mobiliza um significativo números de empresas fornecedoras face à diversidade, cada vez maior, de produtos, terá, igualmente, necessidade de adquirir bebidas, de se alimentar, de se deslocar, podendo fazê-lo por meios próprios ou recorrendo a transportes públicos. Tudo isto implica uma dinâmica económica que gravita em redor do turismo, e que, muitas vezes, é muito difícil de contabilizar. ” (PONTE, 2013: 50) O turismo caracteriza-se como sendo o movimento de indivíduos para fora das suas áreas de residência e/ou de trabalho por um período superior a um dia, passando pelo menos uma noite em alojamentos colectivos e por um período não superior a um ano, por razões muito diversificadas.

Reflexões Finais O património cultural é, portanto, um conceito, um produto e um processo diferenciador de culturas e comunidades, uma extensão da identidade pessoal e coletiva, resultando da vontade dos atores sociais (SMITH, 2006). Todas as decisões tomadas em prole da sua utilização são tomadas no presente, com intenções de curto e médio prazo. Este processo seletivo resulta numa identidade, cada vez mais alargada com a chegada da Modernidade, resultando em sentimentos nacionalistas, que foi a forma dos Estados-nação criarem meios de identificação com a população (SANTOS, 2002). Esses meios serão, contudo, sempre ideológicos e simbólicos e, por isso, sujeitos a transformações. Atrás desta conceção surgiram muitas tradições inventadas e outras re-inventadas que serviram para colmatar as lacunas da rápida evolução tecnológica e urbana para com o lento desenrolar das identidades sociais do passado, mas também como defesa da sua herança (HOBSBAWM, 2002).

e fundou a “Society for the Protection of Ancient Buildings” (Antunes, 2014: s/p. Em 1933 reúnem-se 20 países no IV Congresso Internacional de Arquitetura Moderna, onde elaboram a Carta de Atenas, então um Manifesto Urbanístico, onde define o Património como um testemunho do passado que deve ser respeitado pelo seu valor histórico e/ou sentimental e pelas suas virtudes estéticas. Após a 2ª Guerra Mundial, as Nações Unidas criam a UNESCO. BIBLIOGRAFIA ALMEIDA, Carlos Alberto Ferreira de - Património: Riegl e hoje. In Revista da Faculdade de Letras: História. Porto: Faculdade de Letras da Unversidade do Porto. Vol. p. DUARTE, Alice - The contemporary way to protecting heritage or, the only way for heritage to serve the development of communities. In International Conference on Heritage and Sustainable Development.

p. HOBSBAWM, Eric – A Invenção das Tradições. ª ed. São Paulo: Paz e Terra, 2002. ISBN 85-219-0188-7. France: L´Harmattan, 1999. Mesa Redonda de Primavera, 8, Porto, 2004 - Conservar para quê?. Porto Universidade do Porto. Faculdade de Letras. Centro de Estudos Arqueológicos, 2005. Faculdade de Letras da Universidade do Porto. p. PORTUGAL. Leis, decretos, etc. Portaria nº196/2010 de 9 de Abril: Diário da República: N. Leis, decretos, etc. Lei nº107/2001. SILVA, Augusto Santos - Dinâmicas sociais do nosso tempo: uma perspectiva sociológica para estudantes de gestão. ª ed. Porto: Universidade do Porto, 2002. nº2, 2011, p. TILDEN, Freeman – Interpreting our Heritage. Chapel Hill: The University of North Carolina Press, 1977. VARINE, Hugues de, a - As Raízes do Futuro: O Patrimônio a Serviço do Desenvolvimento Local. Porto Alegre: Medianiz, 2012.

nº1, 2009, p. DOCUMENTOS ELECTRÓNICOS BECK, Larry; CABLE, Ted - The Meaning of Interpretation. Disponível da www. URL:http://aquarium. ucsd. pdf> [Consult. Out. LEGISLAÇÃO ELECTRÓNICA DIÁRIO DA REPÚBLICA. Disponível da www. URL:https://dre. Lisboa. Consult. Out. UNESCO. Criteria. UNESCO. org/en/list/stat> França. Consult. Set. O LEGADO DO PATRIMÓNIO VISUAL VIANENSE: CARTAZ ROMARIA DE NOSSA SENHORA DA AGONIA Marlene Isabel Miranda De Azevedo Instituto Politécnico de Viana do Castelo, Portugal; marleneazevedo696@gmail. Neste caso, a cultura de lugares (APARO, SOARES, 2012: 43) aborda a cidade de Viana do Castelo e toda uma tradição do Alto Minho. Para desenvolver o conceito de património e legado cultural visual foram selecionados uma pattern (1) (ALEXANDER, 1977) de cartazes, de uma das maiores festas e romarias a nível nacional: Romaria de Nossa Senhora d´Agonia, focando nos anos 30, 40 e 50 devido ao desenvolvimento do modernismo e do design gráfico em Portugal nestas décadas.

De modo sumário e breve, e visto que será adiantado mais sobre a temática do cartaz ao longo do artigo, afirma-se que este é um excelente exemplo para retratar os conceitos de património visual e a envolvente do legado cultural visual, pois os cartazes são detentores de todo um conjunto de elementos visuais de cariz tradicional e de raiz popular do Alto Minho sendo um factor chave para a preservação de um legado cultural, etnográfico e histórico desta festa, cidade e região. Será abordado o conceito de património, património histórico e cultural, de modo a dar sustentabilidade e a explicar a lógica de como se alcança o conceito de património visual e o porque da sua ligação aos cartazes das Festas da Senhora da Agonia.

Os Cartazes e os seus autores: breve abordagem O cartaz é de facto um suporte de uma imponência extrema, onde se interpreta o mesmo como um símbolo onde se percebe que todos os elementos visuais expostos, retratados e caracterizados são de facto componentes históricas que salvaguardam toda uma história passada e transportam um legado cultural ,bem como, abordam todo um património visual. ECO, 1978). A representação destes elementos e o seu estudo e catalogação em termos gráficos e históricos vai ao encontro da filosofia prescrita por Bruno Munari, “ (. conhecer as imagens que nos rodeiam significa também alargar as possibilidades de contacto com a realidade, significa ver mais e perceber mais. ” (MUNARI, 1968: 68). Conhecer a historia dos símbolos, ícones e imagens dos cartazes pela sociedade e pelo mundo demonstra a história vianense predileta neste suportes bem como imortaliza os nomes dos artistas responsáveis pela sua criação.

Aliás, o conceito de património cultural teve origem no século XVIII, nomeadamente na revolução francesa, na qual estes tomaram medidas com o intuito de preservar os monumentos que demonstrassem a grandiosidade da nação, impedindo que estes um dia fossem esquecidos. No campo artístico, uma obra para ser considerada património teria de ter algum tipo de característica que a valoriza-se em termos históricos e artísticos. Deste modo, no século XX, observa-se medidas e ações que confrontam toda a ideologia ligado ao conceito de património, colocando esta em causa e reformulando a sua essência. Para além das modificações detetadas no conceito de património, o conceito de cidade também é expandido bem como as ações consolidadas pelo homem são valorizadas, especialmente aquelas ligadas ao campo cultural, estes “(…) passaram a ser vistos como referências culturais dos grupos humanos, signos que definem as culturas e que necessitam salvaguarda.

” (ZANIRATO, RIBEIRO, 2006: 254). d: 4). A estes conceitos associa-se todo um processo significativo bem como representativo, pois os mesmos são determinados por um campo semântico e histórico bem como construídos, partilhados e reproduzidos ao longo do tempo. Neste caso, e tendo como objetos de estudo os cartazes, observa-se que estes são suportes que transmitem uma “(…) herança cultural do passado, vivida no presente, que será transmitida às gerações futuras. ” (RODRIGUES, s. d: 4). Figura 1. e a segunda (vd. Figura 2. imagem são da autoria de Luís Filipe do ano de 1934 e 1948. A terceira e última (vd. Esta diversidade faz com que a definição do conceito de cultura visual seja um pouco ambíguo, contudo e adaptando o conceito, pretende-se classificar a cultura visual como um tema que utiliza o campo visual como fonte de captura de informação, onde o mesmo absorve todo um conjunto de conhecimento que desenvolve a área cultural.

Neste caso, entende-se por área cultural todo os elementos de índole histórico representados nos cartazes que têm como função preservar e expor uma cultura, a cultura minhota. Reforça-se ainda que a cultura visual se desenvolve devido à criação de “(…) novas formas de relacionamento humano que o mundo da “imagem” passou a proporcionar no quotidiano social. ” (CHARRÉU, 2003: 10). A imagem é um elemento que tem vindo a ganhar cada vez mais impacto ao longo do desenvolvimento da história sendo um factor dominante na nossa sociedade com um valor de extrema importância para os seus utilizadores. Os cartazes são de facto suportes que detêm todo um conjunto de informações que compõem a história da Romaria de Nossa Senhora d´Agonia, a cultura minhota e tradição popular do Norte.

Reflete-se com este artigo que o património não é somente histórico ou cultural, é igualmente visual. Toda esta componente visual pode ser igualmente sinónimo de preservação de um legado. O legado cultural visual vianense pode ser encontrado nos cartazes das Festas da Agonia, pois esta cidade caracteriza-se por esta Romaria. Todos os anos, a Romaria atrai milhares de pessoas, e os cartazes são o único meio de promoção, tendo que refletir claramente a imagem que esta festa tem aos de fora e a quem não conhece toda a harmonia que as Festas da Agonia e a sua história detém. Os cartazes foram providenciados pela Viana Festas, associação promotora das Festas da Agonia em Viana do Castelo. BIBLIOGRAFIA ABREU, A. Cartazes da Romaria da Senhora da Agonia: Anunciar a festa,1912-2002.

Viana do Castelo: Serviços de publicações da Câmara Municipal de Viana do Castelo, 2002. ISBN- 972588-141-9. CHOAY, F. Alegoria do património. Lisboa: Edições 70, 2014. ISBN- 978-972-44-1274-0. ECO, U. Lisboa: Edições 70, 1968. ISBN: 972-44-0176-6. DOCUMENTOS ELETRÓNICOS ALEXANDER, C. A Pattern Language [Em linha]. New York: The Oxford University Press, 1977. nº27, 2003, p. Consult. Maio. Disponível na www:<URL: https://www. google. ISBN 978-972-44-1389-1. RODRIGUES, D. Património cultural, Memória social e Identidade: uma abordagem antropológica [Em linha]. Lisboa: Universidade da Beira Interior. s. Consult. Abril. Disponível na www:<URL: http://www. scielo. br/scielo. Neste sentido, pensar e entender a paisagem como património também implica em pensar as suas potencialidades e atributos. A abordagem integradora e sistémica adoptada, neste artigo, sugerem que sem uma sólida base interdisciplinar, construída a partir dos axiomas conceptuais e metodológicos que conferem sustentação às artes e ciência da paisagem, corremos um sério risco, não apenas de emprestar um rótulo geográfico-paisagístico ao olhar dos outros mas, especialmente, de fragilizarmos a Episteme a partir da qual a Geografia e a Arquitectura Paisagista têm que lidar com as transformações quotidianas do espaço, no tempo.

Palavras-chave: Paisagem cultural; Património; Geografia; Arquitectura Paisagista; Gestão Sustentável. ABSTRACT After being a meaningful topic in Geography in the beginning of the XX century, the concept of cultural landscape is once again being debated; however, the issue towards its meaning is kept open to discussions. This work approaches questions regarding the reanalysis of the cultural dimension in the geographical thought and landscape which can and must be amplified to the context of scientific debate as a whole, in the field of reviewing the questions which serve as the basis for modernity and underlie contemporary. A partir desta compreensão ampliada, parece-nos possível, também, propor estratégias integradas de intervenção que, ao combinar esses diversos aspectos, acabam por constituir respostas muito mais completas ao complexo desafio da conservação urbana e paisagística.

Constituindo a Paisagem Cultural, tanto em Portugal como no Brasil, um novo eixo dentro das respectivas estruturas governamentais de gestão do território e do património e, portanto, sem a mesma experiência de outros sectores, colocam-se ainda nesta fase inicial, diversas questões. De forma geral, pergunta-se: Como integrar diferentes esferas governamentais e a sociedade civil na optimização qualitativa dos projectos e intervenções que afectam as paisagens culturais, para que se mantenham as suas características, valores e atributos, e que consequentemente justificam a chancela? Quais os limites e possibilidades de aplicação da noção de Paisagem Cultural a partir das normativas de ambos os países? Que implicações têm as transformações das paisagens culturais no âmbito de actividades associadas ao turismo, recreio e lazer das populações residente e visitante? Para responder a estas questões é necessário compreender as alterações que o próprio conceito de paisagem tem apresentado na contemporaneidade e os significados a ele atribuídos.

Pelo que, a partir das questões levantadas pela nossa reflexão procura-se compreender, a partir de um enfoque sistémico, novas acepções de paisagem cultural que sustentem a sua chancela no âmbito do estabelecimento de políticas públicas de ordenamento e gestão do território, e de conservação do património. Depois de ser um tema central da Geografia no início do século XX, o conceito de paisagem viu reduzida a sua importância no contexto de contestação que a geografia clássica sofreu com a incorporação de outras bases epistemológicas ao pensamento desta ciência, como as relacionadas com o positivismo lógico. Entendimento que se expressa, talvez de modo redundante mas operante, no conceito de paisagem cultural que considerado fundamental para algumas correntes da Geografia académica desde o final do século XIX, foi apropriado no âmbito das políticas patrimoniais pela UNESCO, em 1992, quando esta passou a incluir a categoria de paisagem cultural para inscrição de bens na Lista de Património Mundial.

O termo foi adoptado pela UNESCO com o objectivo de quebrar a dicotomia entre património natural e cultural existente na Lista desde a sua criação em 1972. Deste modo, a noção de paisagem cultural para fins de inscrição na Lista de Património Mundial foi entendida como aplicável àqueles sítios e obras que expressavam a combinação dos trabalhos conjuntos da natureza e do homem. Hoje, após duas décadas de aplicação, já existem 70 sítios inscritos na referida Lista como paisagem cultural em todo o mundo, com idêntico número de sítios localizados em Portugal e no Brasil. Para atender aos rigorosos critérios estabelecidos pelos guias e metodologias da UNESCO, a categoria de paisagem cultural foi incorporada, pelo Comité do Património Mundial, com esse significado central que expressa a interacção entre o homem e a natureza, sendo que a inscrição de sítios na referida Lista tem privilegiado, até hoje, sobretudo aqueles sítios que associados a populações tradicionais constituem manifestações de uma simbiose (quaseperfeita) entre as comunidades humanas e o meio onde vivem, nas quais a relação com os elementos e processos naturais ainda é muito forte, mas também (ou integrando) os sítios associados à presença de jardins históricos ou a uma componente paisagística e patrimonial singular (RIBEIRO, AZEVEDO, 2010: 42).

É nesta direcção que aponta Cecília Londres Fonseca, quando afirma que "ao funcionar apenas como um símbolo abstracto e distante da nacionalidade, em que um grupo muito reduzido se reconhece, e referido a valores estranhos ao imaginário da grande maioria da população brasileira, o ónus de sua protecção e conservação acaba sendo considerado um fardo por mentes mais pragmáticas" (FONSECA, 2005: 18). Pesquisadores e instituições, nacionais e internacionais, têm vindo a dedicar-se, mais recentemente, à investigação das origens, desenvolvimento e discussões em torno do conceito de paisagem e, especialmente, da relação entre paisagem e património. Importa aqui destacar algumas implicações do complexo conceito de paisagem: (i) foco nas formas visíveis do nosso mundo, sua composição e estrutura espacial; (ii) unidade, coerência e ordem ou concepção racional do meio ambiente; (iii) a ideia de intervenção humana e controle das forças que modelam e remodelam nosso mundo (COSGROVE, 1998: 99).

Terá sido com a arte da pintura, a partir da composição da perspectiva no Renascimento, que se conformou, definitivamente, a transformação, de uma visão mais concreta da natureza em percepção sensível ou em processo selectivo de apreensão da realidade (SANTOS, 2002: 36). Nesse sentido, há que dar importância ao contributo da perspectiva na invenção e consolidação de uma forma simbólica de paisagem, persistente até hoje, seguindo as suas regras de planos, progressão, proporção e enquadramento. Isso torna a noção de paisagem extremamente polissémica (RIBEIRO, 2007: 44). Todavia, há que lembrar que a construção pictórica em perspectiva e a natureza foram dois elementos essenciais na composição morfológica da visão ocidental de paisagem, que constituíram e ainda constituem, embora de maneira mais intuitiva, os objectos de salvaguarda no âmbito da preservação do património.

O que se busca preservar é a perenidade dessa forma, único objecto de transmissão (CAUQUELIN, 2003: 27), os demais elementos e seus conteúdos transformam-se, inevitavelmente, ou são manipulados ao longo do tempo, acompanhando a dinâmica socioeconómica e isso tem sido, relativamente, aceite, ou é imposto, às políticas de preservação. A questão da sustentabilidade foi também recentemente incorporada, no entanto, como forma de recuperação ou manutenção da natureza, essa mesma que deve ser preservada a fim de compor o cenário ideal de paisagem. Paisagem cultural: um conceito ou uma categoria de património? Em Portugal, por via da recente Convenção Europeia, a paisagem é considerada, no essencial, uma paisagem cultural (CANCELA D`ABREU et al. Importa destacar ainda que, por ser uma ferramenta de reconhecimento do património cultural, a chancela da Paisagem Cultural Brasileira deve ser compreendida como instrumento de gestão territorial integrada.

Neste sentido, a sua eficácia está baseada no estabelecimento de um pacto entre as principais entidades, públicas e privadas, que actuam sobre o território seleccionado e, consequentemente, a efectiva preservação das paisagens culturais dependerá do cumprimento de diálogos e compromissos assumidos por cada uma das partes. Reside aqui uma complexidade evidente relacionada com um dos pontos nevrálgicos de aplicação da chancela – a definição das acções e atribuições de cada signatário e a assinatura de um pacto entre os diversos parceiros. O fortalecimento das discussões a respeito da paisagem cultural tem acontecido, no Brasil, especialmente, a partir deste século, embora timidamente (STIGLIANO, 2009: 97). O termo “paisagem cultural” vai abarcar uma diversidade de manifestações resultantes dos diferentes tipos de interacções entre a humanidade e seu meio natural: de parques e jardins a paisagens urbanas, passando por campos agrícolas ou rotas de peregrinação, entre outros.

Em 1992, a Convenção do Património Mundial da UNESCO tornou-se o primeiro instrumento jurídico internacional com o intuito de reconhecer e proteger as paisagens culturais. Evoluiu, de forma significativa, em relação à concepção de protecção, instituída pela Convenção de 1972 que encarava o espaço e a protecção patrimonial de forma fragmentada, descontextualizada e pelos seus componentes formais (monumentos, conjuntos e locais de interesse). A noção de paisagem cultural passa a considerar as “distintas manifestações resultantes da interacção entre o homem e seu ambiente natural”. Essa integração do homem na relação com o meio em que vive coaduna-se com os interesses de preservação do ambiente e conservação da natureza. Estabelece uma protecção dos elementos constituintes do espaço, mas incorpora também, as técnicas, os processos e os materiais e, sobretudo, a persistência das formas tradicionais de uso da terra, preocupando-se com a manutenção da diversidade biológica (UNESCO, 1992).

No âmbito desta nova perspectiva, as paisagens culturais, envolvendo a complexidade e diversidade de manifestações entre a humanidade e o seu meio natural, ilustram a evolução da sociedade e seus assentamentos ao longo do tempo, sob a influência de condicionantes biofísicas ou pelas sucessivas forças sociais, económicas e culturais, externas e internas, que nelas interferem, devendo ser seleccionadas pelo seu valor universal e pela sua representatividade em termos de uma região geocultural claramente definida e, também, pela sua capacidade de ilustrar os elementos culturais essenciais e característicos dessa região (UNESCO, 2005: 7). Ao abordarmos o património a partir do conceito de paisagem cultural, há que atender a uma questão considerada fundamental e, sem a qual, esta nova abordagem, provavelmente, não fará sentido: há que pensar e intervir no património, integralmente e integradamente.

Para isso será necessário compreender cada uma das partes e suas inter-relações, o todo e as suas dimensões, o seu funcionamento, interacções, contradições, ambiguidades, dialógicas e dinâmicas, no seio da sua complexidade sistémica e em permanente metamorfose. Importa pois relembrar que enquanto o conceito compreende uma descrição sobre o território objecto de estudo e classificação, no âmbito de um processo de caracterização e identificação que nos ajuda a decifrar do que se trata ou o que “é” esse território, a categoria é o tipo de realidade que esse território integra; e essa realidade complexa, una mas diversa, não pode ser compreendida de forma fragmentada, exigindo uma visão holística e integradora. Esta nova visão não é consentânea com separarmos os objectos dos lugares, os lugares das paisagens, as paisagens dos territórios e ainda, dentro de cada um deles, os seus vários elementos, estruturas, dimensões e acções e, entre eles, as diversas interacções e interdependências, pois se o fizermos, estaremos, simplesmente, mutilando-os.

Razão pela qual, conduz à redução da paisagem cultural, enquanto conceito holístico, integrador e relacional, convertendo-a em puro cenário (FIGUEIREDO, 2012: 389). Ao considerarmos “paisagem cultural” como conceito, vislumbramos diversas possibilidades da aplicabilidade desta abordagem conceptual no sentido de romper os limites cartesianos impostos pela segmentação ainda presente na forma de conceber, pensar, intervir e gerir o património, e que se encontra reflectida na organização e funcionamento das instituições responsáveis pelo ordenamento e gestão da paisagem e do património, e na maneira como continuam a aplicar os seus instrumentos, através de uma visão sectorial e desarticulada. Neste sentido, há uma questão que merece ser levantada: Afinal, o que é considerado património a ser preservado dentro da concepção de monumentos, de centros históricos, de património imaterial, de património natural e de paisagem cultural? Há diferenças substanciais, no olhar, na selecção, no reconhecimento de valores e, por conseguinte, nas estratégias e modos de preservação e gestão destes bens.

No Brasil, tais questões são rebatidas pelos documentos técnicos do IPHAN que face à ideia geral, de que “tudo é paisagem cultural”, consideram que nem tudo é património nacional, mesmo que dentro da abordagem alargada e integradora da paisagem cultural. Existe, com efeito, um processo de selecção que, inclusive se vem dilatando cada vez mais, não somente no que toca aos objectos e objectivos de preservação mas, também, quanto às escalas de compreensão, intervenção e gestão, rompendo cada vez mais o lacre da separação hierárquica entre património nacional, regional e local. Assim, inúmeros são os arranjos e possibilidades, que dependerão fundamentalmente, da intensidade e qualidade da intervenção humana e das manifestações e representações dela decorrentes.

É fundamental, portanto, estabelecer com objectividade as situações às quais ele se aplica. Em muitos casos, especialmente de ecossistemas naturais de grande extensão, ou no extremo oposto, de conjuntos arquitectónicos e paisagísticos, monumentos e sítios arqueológicos, com limitada extensão territorial e onde os impactes das actividades económicas sejam reduzidas, é possível um processo de gestão menos complexo, centralizado num ente público ou privado, com a assistência de instâncias participativas locais. Já nas regiões e situações que se caracterizam por forte dinamismo dos agentes económicos e sociais, é recomendável a adopção de critérios de elegibilidade para a escolha do modelo de ordenamento e gestão. É o caso das paisagens urbanas e rurais, em que se verifique tanto a necessidade de protecção e conservação, como simultaneamente a necessidade de dinamizar a economia.

Há, na realidade, um conjunto significativo de medidas restritivas que inclusive em áreas de grande valor e interesse cultural e ecológico, deixaram de constituir um obstáculo às fortes pressões urbanísticas e socioeconómicas a que estão sujeitas, abrindo caminho a processos de adulteração e degradação paisagística e patrimonial. De facto, fórmulas mágicas não existem, sendo que há, no entanto, um conjunto de temas e questões relevantes que deverão ser equacionados no âmbito de uma estratégia que concilie os objectivos e interesses da preservação, com os do desenvolvimento territorial e socioeconómico. Participação, gestão pactuada, acção articulada das instâncias governamentais, políticas públicas de incentivo e regulamentação, investimentos continuados, geração de emprego, riqueza e oportunidades económicas, acções educativas permanentes, são alguns deles.

Neste momento, em que se intensifica o debate sobre o tema e a assunção do conceito de paisagem cultural como património começa a despertar o interesse em diversos sectores importantes, há um aspecto que é determinante e crucial: a indicação e selecção dos sítios e/ou paisagens. A escolha, em ambos os países, não poderá ser determinada, exclusivamente, pelas “interacções significativas entre o homem e o meio natural”, como estabelece a UNESCO. Para tal, é fundamental a acção, tratando-se de agir com premissas similares à educação patrimonial que trouxe grandes avanços em termos de vigilância sobre os bens sociais. Como iniciar, então, um processo de acção e de educação patrimonial? Talvez, em primeiro lugar, disponibilizar, de forma sistemática, os documentos que podendo ser recuperados nos ajudem a identificar e caracterizar os valores dos tempos passados.

Mas, a história é sempre reconstituição. Dessa forma, além da sistematização e acesso aos arquivos, cabe à Academia transformar os documentos encontrados em material analítico. Face às questões aqui assinaladas, as nossas reflexões poderão ajudar a percepcionar e perceber que muitos dos caminhos adoptados nos dois países requerem ser alterados e qualificados. Propostas para uma Estratégia de Intervenções Integradas de Requalificação Urbana e Valorização Ambiental. Dissertação de Doutoramento em Artes e Técnicas da Paisagem. Acessível na Universidade de Évora, Évora, Portugal. BERTRAND, G. Le paysage: L'irruption du sensible dans les politiques d'environnement et d'aménagement. Dezembro, 2002, p. CANCELA D´ABREU, A. PINTO CORREIA, T. OLIVEIRA, R. – Contributos para a Identificação e Caracterização da Paisagem em Portugal Continental.

– Paisagem, retórica e património. In Revista de Urbanismo e Arquitectura. ISSN 1645-5307. Vol. p. Manifestações da cultura no espaço. Rio de Janeiro: EdUERJ. p. COSGROVE, D. A Geografia está em toda parte: Cultura e Simbolismo nas paisagens humanas. Entrevista a Ana Rosa de Oliveira. in Vitruvius. ISSN 1809-6298. São Paulo: Romano Guerra Editora, 04. Out 2003, p. FIGUEIREDO, V. G. B. O patrimônio e as paisagens: novos conceitos para velhas concepções? In SEMINÁRIO DE PAISAJES CULTURALES, Montevideo, 2012, p. Udelar/upc [Conpadre n. ISBN 978-8588587-17-5. MORIN, E. O Paradigma Perdido: A natureza humana. Lisboa: Europa-América, 2000. ISBN 972-771-076-X. Rio de Janeiro: IPHAN/Copedoc, 2007. ISBN 978-85-7334-053-2. RIBEIRO, R. W. Paisagem Cultural e Patrimônio na UNESCO: Tradições e Conflitos.

– A Natureza do Espaço: Técnica e Tempo, Razão e Emoção. São Paulo: Edsup, 2002. ISBN 978-85-134-0713-0. SCHAMA, S. Paisagem e memória. apap. pt/. CAnexos%5Cpaisagem1. pdf> COUNCIL OF EUROPE - European Landscape Convention. European Treaty Series - No. Disponível na www:<URL: http://www. icomos. org/charters/interpretation_sp. pdf> ICOMOS - Declaração de Xi'an sobre a conservação das zonas de protecção dos monumentos, sítios e espaços patrimoniais. Adoptada em Xi’an, China, em 21 Outubro 2005. In Diário da República – I SÉRIE-A. Nº31 (14 de Fevereiro de 2005), p. DECRETO-LEI nº 177/2001 de 4 de Junho estabelece o regime jurídico da urbanização e edificação. In Diário da República – I SÉRIE-A. Nº129 (4 de Junho de 2001), p.

Nº170 (4-9-2007), p. GOVERNO DE PORTUGAL - Resolução da Assembleia da República nº47/2008 de 12 de Setembro/Convenção de Faro-Convenção-Quadro do Conselho da Europa relativa ao valor do Património Cultural para a sociedade. In Diário da República, Série I – Nº177 (12-9-2008), p. GOVERNO DE PORTUGAL - Resolução do Conselho de Ministros 45/2015 de 7 de Julho aprova a Política Nacional de Arquitectura e Paisagem. In Diário da República, 1ª Série. cat Antoni Palomo Arqueolitic, c/ Sant Martirià, 56, 17820, Banyoles, antonipalomo@gmail. com 0105 | La Divulgación Científica en Contextos Urbanos: El Papel de las Asociaciones como Medio de Transmisión de las Actividades y el Conocimiento Juan F. Gibaja Santiago Higuera Nuria Borrut Antoni Palomo Historial do artigo: Recebido a 24 de março de 2016 Revisto a 27 de junho de 2016 Aceite a 02 de julho de 2016 RESUMEN Este artículo está dirigido a aquellas personas que están trabajando en el ámbito de la divulgación científica.

Centrado en un barrio de Barcelona con enormes problemas sociales, El Raval, en 2013 un conjunto de investigadores/as del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (IMF-CSIC), junto a diversas asociaciones del barrio, iniciamos un programa de actividades divulgativas con el fin de llevar la arqueología y la prehistoria a los vecinos y vecinas. Se trata, por tanto, de un artículo que narra nuestra experiencia personal, detallando algunas de las actividades que más atrajeron la atención del público. The initiatives are guided by-dissemination activities with the aim of bringing archeology and prehistory to all the neighborhood. Thus, the work presented here reveal the personal experience, detailing some of the activities that most captivated the public's attention. We hope, that this initiative and our experience can serve as a reference and impulse to other colleagues working in similar areas of research in urban or rural settings.

Key-words: Scientific Outreach; Prehistory; Neighborhood Associations; Barcelona. Introducción En el año 2013 iniciamos un programa de divulgación científica, centrada en la arqueología, en uno de los Barrios de Barcelona con mayores problemas sociales: El Raval (Figura 1. Esa población son los propios vecinos del Barrio del Raval, por lo cual: ¿quién conoce mejor las peculiaridades de los vecinos, sus inquietudes, intereses y necesidades que las personas que son del mismo territorio o que trabajan en él? En definitiva, la finalidad de este artículo es explicar nuestra experiencia con todas estas asociaciones para que pueda servir de ejemplo para aquellos investigadores/as, educadores/as o divulgadores/as que quieran llevar la ciencia a la calle. El Proyecto: RavalEsCiència: Raval una Historia de hace más de 6000 años A mediados del 2013 un grupo de personas procedentes del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) y de distintas instituciones cívicas y empresariales, nos unimos con el fin de construir un proyecto de divulgación científica alrededor de un tema: llevar la ciencia, en general, y la prehistoria, en particular, a la ciudadanía de una de las zonas del centro de Barcelona con una idiosincrasia específica: El Raval.

El barrio del Raval se encuentra en el corazón de la ciudad de Barcelona, en el distrito de Ciutat Vella, al lado de las populares Ramblas de las Flores. Es en este contexto urbano donde hemos realizado un conjunto de actividades de divulgación científica. Ello ha sido posible gracias a la financiación y participación de numerosas instituciones públicas y privadas. Son ampliamente conocidos en la literatura arqueológica los yacimientos de Sant Pau del Camp o Reina Amàlia, entre tros (GRANADOS et al. GIBAJA, 2003; BORDAS y SALAZAR, 2006; MOLIST et al. GONZÁLEZ et al. Las noticias sobre ciencia y cultura quedan eclipsadas habitualmente por aquellas de carácter negativo relacionadas con la prostitución, las drogas, la delincuencia, la proliferación de personas excluidas socialmente o la falta de integración por parte de los grupos de inmigrantes recién llegados a la ciudad (CARMONA, 2000; SUBIRATS y RIUS, 2005; FERNÁNDEZ, 2014).

Los medios de comunicación se hacen eco y amplifican tales problemas, aun siendo el Raval un barrio con una actividad cultural de primer orden generado por las instituciones que existen: el Teatro del Liceu, el Museo de Arte Contemporáneo de Barcelona (MACBA), la Filmoteca de Cataluña, el Museo Marítimo, el Centro de Cultura Contemporánea de Barcelona, la Universidad de Barcelona, el Centro de Documentación Internacional de Barcelona (CIDOB) o el propio Consejo Superior de Investigaciones Científicas. XIV esta zona de Barcelona quedaba fuera del recinto amurallado construido en el s. XIII para la defensa de la ciudad. La imagen entonces era la de numerosos campos de cultivo vinculados con algunas casas aisladas y el monasterio de Sant Pau del Camp, que fue erigido alrededor del s.

X. El crecimiento de la ciudad llevó a que el barrio también se amurallara en el s. Figura 3. Imagen de la calle del El Paralelo con algunas de las fábricas que estaban implantadas en el Raval (foto cortesía de María Casa). En 1859 la muralla que rodea a este barrio portuario se derruye con el fin de tener más espacio urbanizable. Posteriormente, a finales del s. XIX e inicios del s. La denominación de Distrito V o Barrio Chino, que llevaba implícito un significado despectivo vinculado estrechamente con la prostitución, fue entonces cambiada por el del Barrio del Raval. Con el impulso de los Juegos Olímpicos de 1992, se inició una gran transformación urbanística, que busco “esponjar” el territorio. Con el derribo de algunos edificios se crearon plazas y calles más anchas.

Como señalaban arquitectos de la época, el objetivo era que la luz entrara en las estrechas calles del Raval. En los últimos años, y al igual que sucede en otras ciudades europeas y americanas, en el Raval se está produciendo un proceso de gentrificación (VAN WEESEP, 1994; CARPENTER y LEES, 1995; MARTÍNEZ, 1999). habitantes. En la ciudad de Barcelona, y gracias al trabajo realizado desde el Observatorio Permanente de la Inmigración en Barcelona, sabemos que en ese mismo año 2014 la población de la ciudad era de 1. habitantes, de los cuales 273. eran inmigrantes. Sin embargo, estos datos y porcentajes requieren de ciertas puntualizaciones: 1) no toda la población que vive en España, y por tanto también en Barcelona, está legalizada; por lo que hay una parte de las personas que no están contabilizadas; 2) la cantidad de personas inmigrantes varía considerablemente cuando se analizan las distintas ciudades de España, en general, y las diversas zonas de Barcelona, en particular.

Se trata de un colectivo que desconoce absolutamente la historia general de la ciudad y del barrio, por lo que apenas sienten como suyo el contexto social en el que viven. La Vinculación com las asociaciones/vecinos Las razones por las cuales hemos trabajado en este barrio, han sido varias. En primer lugar, el centro donde hacemos nuestra investigación científica, el Consejo Superior de Investigaciones Científicas (IMF-CSIC) se encuentra precisamente en el Raval. Por consiguiente, creíamos que los que son nuestros vecinos, debían ser de los primeros ciudadanos en conocer aquellos descubrimientos que hacemos día a día. Un segundo aspecto relevante era el hecho de que en el barrio del Raval se han venido documentando, desde los años 90’ del s. Entendíamos que los investigadores/as debíamos ser capaces de buscar las herramientas para poder llevarles al pasado y que conociesen y valorasen el rico patrimonio que atesora el subsuelo de sus calles.

Esa historia iniciada en el neolítico, podía ser un medio de integración entre distintas comunidades culturales, religiosas o étnicas, ya que quizás muchos de los vecinos comparten un origen común. La cultura pensada como medio de integración social podía ser una realidad. Pero este camino no podía ser hecho sólo por los investigadores/as. Muy a menudo, por el tipo de trabajo que realizamos, solemos estar ausentes y muy lejos de la realidad cotidiana del lugar donde vivimos o trabajamos. El teatro de marionetas fue una de las actividades que más atrajo la atención de los niños/as, pero en general de todo el público asistente. Se trata de una obra en la que se explica de manera sencilla cómo eran y vivían aquellas primeras sociedades neolíticas que se asentaron en la ciudad de Barcelona.

El guión de la historia la cuentan dos muñecos que representan a un arqueólogo y una arqueóloga. A lo largo de la representación aparecen tres personajes que no existían en ese momento histórico y que los niños/as deben pedirles que se vayan de la obra: un dinosaurio, un mamut y una botella de vidrio. Con esta simple historia pretendíamos que los más pequeños/as retuvieran algunas ideas básicas. Se trasladaron al asentamiento neolítico de la Draga (Girona) donde pudieron, no sólo visitar el yacimiento y observar cómo trabajaban los arqueólogos, sino también tocar materiales arqueológicos recientemente extraídos de la excavación, viendo cómo eran tratados y estudiados (Figura 6. Sin embargo, esa parte más científica se acompañó de otra más lúdica en la que se les enseñó réplicas de las casas donde vivieron aquellas sociedades neolíticas y ellos mismos elaboraron algunos de los instrumentos que se utilizaban en el pasado para realizar ciertas actividades como: moler cereal, segar plantas, cortar carne, etc.

De esta manera les implicamos en un trabajo arqueológico. La arqueología experimental se revelaba, por tanto, como un medio excepcional para observar in situ aquello que explicábamos (PÉREZ-JUEZ, 2006). Figura 6. Figura 7. Cabezuda paseando por una de las calles del Raval durante las fiestas del barrio. La prehistoria llevada al comercio Dos han sido las actividades principales que se realizaron en los comercios: demostraciones y conferencias. Aunque estas dos acciones estaban dirigidas a todos los públicos, los temas atrajeron más a personas adolescentes y adultas. No siempre fue fácil estructurar estas acciones, pues nos encontrábamos en un contexto urbano donde se combinan los comercios de los ciudadanos que siempre han vivido en el barrio, con los nuevos procedentes de las últimas oleadas de inmigración.

Conferencia del investigador del CSIC Juan José Ibáñez en un bar del Raval. El tema elegido fue el origen del neolítico. Conclusiones Este artículo ha tenido por objetivo explicar, de una manera somera, las actividades de divulgación científica que en los últimos años hemos realizado en el marco del proyecto: RavalEsCiència: Raval una Historia de hace más de 6000 años. A través de este artículo pretendemos que nuestra experiencia pueda servir de referencia para otros/as colegas que están inmersos en la gratificante tarea de llevar la ciencia a la calle. La finalidad, en nuestro caso, ha sido acercar a la ciudadanía la arqueología, la prehistoria y la ciencia, no a través de aburridas y tediosas conferencias plagadas de tecnicismos y cronologías, en las que ellos son simples espectadores inactivos, sino mediante actividades visuales en las que participan activamente, como sucede durante la obra teatral de marionetas, las demostraciones o la presentación durante las fiestas de un personaje del neolítico: la “Cabezuda”.

BIBLIOGRAFIA BORDAS, A. SALAZAR, N. Vestigis del neolític final al barri del Raval de Barcelona: estudi de les restes trobades al carrer Reina Amàlia. In Quaderns d'Arqueologia i Història de la Ciutat de Barcelona. Quarhis 02. p. FABRÉ, J. HUERTAS CLAVERÍA, J. M. El Districte Cinqué. Una aproximación socio-económica a partir del estudio de la función de los útiles líticos. BAR International Series S1140. Oxford. GONZÁLEZ, J. HARZBECHER, K. In Tribuna d'Arqueologia (1991-1992). Barcelona: Generalitat de Catalunya, 1993, p. KING, T. F. Doing Archaeology: a Cultural Resource Management Perspective. VICENTE, O. FARRÉ, R. El jaciment de la caserna de Sant Pau del Camp: aproximació a la caracterització d’un assentament del neolític antic. In Quaderns d'Arqueologia i Història de la Ciutat de Barcelona.

Quarhis, 4, 2008, p. In Scripta Nova. Vol. nº 66, 2001, p. SUBIRATS, J; RIUS, J. Del Chino al Raval. No caso específico do presente trabalho - realizado no âmbito do seminário de Mestrado na Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa, Arqueologia das Cidades, ministrado pela Professora Doutora Ana Margarida Arruda – tentámos transpor e identificar os resultados que têm sido constantemente trabalhados para núcleos urbanos maiores, sendo exemplo disso Lisboa ou Santarém, para uma cidade de menores dimensões localizada em pleno Alentejo – Estremoz. O potencial deste núcleo “urbano”, quando comparado com outros aglomerados populacionais no Sul de Portugal, encontra-se prontamente identificado, ainda que não apresente um nível constante e regular de identificação científica. Contudo, no nosso entender, a matéria-prima existe, mas tem de ser aproveitada e utilizada pelos vários organismos e entidades do concelho, promovendo uma educação dos utilizados directos deste Património, incutindo noções de valorização e salvaguarda do mesmo.

Assim sendo, tentando medir o grau eficácia desta divulgação e utilização do rico Património estremocense, identificando também pontos passíveis de melhorias, este estudo apresenta uma forte componente prática que visa proceder à simbiose entre as principais instituições relacionadas com o Património – a Câmara Municipal de Estremoz e a Escola Secundária Rainha Santa Isabel. Os resultados mostram uma grande utilidade, mostrando que o caminho já existe, sendo necessária a tomada de iniciativa de ambas as entidades, enfatizando-se a noção de que é necessário educar os futuros cidadãos, desde cedo, para se preservar e cuidar no Futuro. De forma a combater esta realidade é necessário conhecer o estado actual da Arqueologia Urbana nos diversos pontos do país, identificando os problemas estruturais, tentando altera-los em tempo útil e de forma produtiva.

É nesta óptica que surge a presente reflexão, tendo o intuito já referido de identificar o estado da questão no concelho de Estremoz e, acima de tudo, compreender os caminhos que podem vir a ser tomados para uma possível maximização dos recursos e da produção científica/divulgação. Numa segunda fase do presente texto, tentado aprofundar o grau de eficácia das relações estabelecidas entre os principais intervenientes – entende-se Câmara Municipal de Estremoz e Escola Secundária Rainha Santa Isabel em Estremoz – e como se procede a divulgação do Património em Estremoz, prepusemo-nos a contactar com a comunidade estudantil – com o apoio da Associação de Estudantes da escola, do seu Presidente, Nuno Xarepe e Secretária da Assembleia Geral, Ana Beatriz Basílio.

As instituições, que funcionam aqui como principais actores, foram ouvidas nas pessoas da Arqueóloga Municipal Rita Laranjo e do Director José Salema, dando-nos a sua visão, em primeira pessoa, do funcionamento dos locais que gerem, como funciona a sua relação com a comunidade e as falhas que identificam. Tudo isto tem, como objectvo central, compreender o estado da questão, neste caso a Arqueologia Urbana e a divulgação patrimonial em Estremoz, e identificar caminhos e vias de convergência que potenciem o Património e a população. Estas duas grandes actividades – extractiva e agrícolas – ocupam uma significativa percentagem dos 514km2 afectos ao concelho de Estremoz, por exemplo as 939 explorações agrícolas ocupam cerca de 38. ha, existindo um domínio das propriedades de grande dimensão (50ha).

Figura 2. vd. Figura 2. milhões de euros, mas para o próprio Património em si que pode ser divulgado, conhecido, experienciado e valorizado por um conjunto diversificado de pessoas. Outra das vertentes associadas ao turismo é a visita a Museus que permitem aceder a outro tipo de experiencias e, neste caso, materiais (quer sejam eles arqueológicos ou não). No concelho de Estremoz existem oito Museus, sendo os mais significativos o Museu a cargo da Universidade de Évora (Centro de Ciência Viva de Estremoz), outro a cargo do Regimento de Cavalaria nº3 (Museu do Regimento), o Museu de Arte Sacra e ainda o Museu Municipal (Professor Joaquim Vermelho). Os restantes quatro reflectem realidades mais concretas, com o Museu Casa Agrícola e o Museu da Escola em Veiros, o Museu do Bombeiro e o Museu Rural.

A estes Museus podemos somar duas galerias de exposições, muito activas a nível expositivo e cultural, tendo sido uma delas inaugurada em 2014, com um total de 17 exposições no ano de abertura. Figura 3. são desde logo reconhecidos no Plano Director Municipal, que data de Maio de 2015, contudo ainda é possível verificar uma preferência e pendor para o “centro urbano”, entenda-se aqui a zona do Castelo, sendo secundarizados núcleos arqueológicos que, com a criação e inserção em rotas, podiam atrair novos públicos e, acima de tudo, servir um público local. Figura 3. A nível patrimonial, recorrendo à página “Património Cultural”, desenvolvida pela actual Direcção-Geral do Património Cultural, mais propriamente ao separador referente à pesquisa de património classificado, foi possível identificar, para o concelho de Estremoz, um total de 27 registos onde domina a classificação (vd.

Figura 4. João II, se pode constactar que um monumento funerário, neste caso uma anta, é utilizado como marco de limites entre propriedades na zona de São Bento de Ana Loura (Chancelaria, D. João II, liv. vº apud LARANJO, 2014: 37). Outras expressões da influência deste tipo de Património no quotidiano das populações podem ser encontradas na microtoponímia – é aqui que os topónimos “anta” e “moura” aparecem, por exemplo, a Villa Lusitano-Romana de Santa Vitória do Ameixial encontra-se na Quinta da Moura e, nas suas imediações, podemos encontrar a fonte da Moura. As investigações mais recentes debruçam-se sobre temas relacionados com o megalitismo, realidade já trabalhada e que vai na linha das intervenções de Manuel Heleno e de Georg e Vera Leisner (LARANJO, 2014: 37), resultando disso uma quase integral escavação dos monumentos funerários e uma grande quantidade de espólio do concelho.

Figura 5. Como sublinhado antes, Estremoz tem 166 sítios arqueológicos inventariados e nestes foi possível contabilizar um total de 163 intervenções registadas na base de dados “Endovélico”. Nem todos os sítios arqueológicos têm intervenções, já que muitos deles se reportam a achados isolados e superficiais, mas foi possível detectar uma variação entre 1 e 4 intervenções onde se inserem 161 das 163 intervenções. O sítio que apresenta o maior número de trabalhos é a já amplamente mencionada Villa Lusitano-Romana de Santa Vitória do Ameixial, que atingiu 9 intervenções, mostrando um claro domínio no interesse sobre este sítio arqueológico. Estas 163 intervenções podem ser enquadradas dentro de 29 “projectos”, sendo que cinco deles não se encontram referidos no “Endovélico”. Contudo, a grande questão é: mas existe uma Arqueologia Urbana em Estremoz? A resposta a esta pergunta é sim.

Foi possível identificar 10 projectos que tiveram lugar no núcleo urbano da cidade de Estremoz, sendo o mais recente referente ao ano de 2013. Os projectos podem ser enquadrados em três categorias de trabalhos, com um ligeiro domínio das intervenções de valorização, salvaguarda e remodelação de monumentos (4), seguido pela construção ou remodelação de imóveis (3) e vias de trânsito ou estacionamento (3). O número de intervenções é relativamente reduzido quando comparado, por exemplo, com a cidade de Santarém que só no ano de 2013 registou 29 intervenções (OLAIO et al. mas para uma cidade de média dimensão, como é a cidade em estudo, o número de intervenções parece-nos significativo para afirmar que, apesar de ser pouco expressiva e relativamente invisível, existe uma Arqueologia urbana com um “ritmo” compatível com “meio rural alentejano” (vd.

Não podemos de deixar de fazer ressaltar que a componente turística, em Arqueologia, passa pela passagem da informação através de núcleos museológicos (vd. Figura 9. mas também através da visita a sítios arqueológicos e respectivos centros interpretativos. Em Estremoz apenas um sítio arqueológico se encontra “valorizado”, com as últimas intervenções em finais dos anos 90, a Villa Lusitano-Romana de Santa Vitória do Ameixial que só é visitável mediante contacto prévio com a Direcção-Geral do Património Cultural, tendo uma tabela informativa junto à sua entrada. As intervenções relativamente recuadas deram ao sítio um aparente ar de abandono, com o gradeamento no seu entorno enferrujado, tornando-o um sítio repulsivo e não chamativo. vd. Figura 10. Figura 10.

A educação patrimonial, enquanto conceito e ideia, não tem uma grande popularidade em Portugal, sendo principalmente aplicada em países como o Brasil. No caso nacional podemos aplicar o modelo da “Educação para o Património” através das “Actividades de Enriquecimento 0137 | curricular”, publicadas em Decreto de Lei nº169/2015 – neste decreto os Municípios ou as próprias escolas em si, podem usufruir de um bloco semanal e escolher como o ocupar, podendo uma dessas ocupações ser referente ao Património local, funcionando como um caminho para divulgar e obrigar a um trabalho por parte de ambas as entidades envolvidas. Arqueologia e a Comunidade Estudantil Como temos vindo a frisar ao longo de todo o trabalho, os jovens são, sem sombra de dúvidas, um dos intervenientes principais no futuro da valorização e manutenção do Património de Estremoz, já que são eles que usufruem e vão usufruir dele.

Conhecer os estudantes, aferir o seu conhecimento e a informação que lhes chega, e como lhes chega, mostrou ser uma das causas que nos ajudam na afirmação da necessidade de estabelecimento de relações institucionais de qualidade em prol de “bens” maiores – o Património e os próprios jovens. Para tal foi necessária a elaboração de um inquérito de pequenas dimensões, com 20 perguntas, que nos permitiu aferir o conhecimento, a política de actividades da escola e a consciência que os estudantes já possuem sobre a importância e valor do Património no seu sentido mais amplo. A Escola Secundária Rainha Santa Isabel em Estremoz tem um total de 536 estudantes de ensino secundário - 10º, 11º e 12º anos de escolaridade – tendo sido possível, com o apoio da Associação de Estudantes, na pessoa do Presidente Nuno Xarepe, inquirir 50 estudantes de nacionalidade portuguesa (correspondendo a 9,33% da população em estudo) que se distribuem de forma equitativa entre os três anos do ensino secundário – 28 indivíduos do sexo feminino e 22 do sexo masculino, com idades compreendidas entre os 14 anos e os 18.

A maioria é proveniente do concelho de Estremoz (38), como esperávamos inicialmente, tendo sido as respostas enriquecidas com contributos de estudantes provenientes de Sousel (8) e Fronteira (4) que, por não existência do equipamento nos locais de residência, frequentam a escola secundária em Estremoz. A nível museológico, quando questionados sobre “Em quantos Museus em Estremoz podes ver materiais arqueológicos?” os estudantes mostraram-se bastante “esperançosos”, sendo que 23 responderam que se podiam ver num único museu, seguindo-se os que responderam dois museus (19), somente quatro inquiridos conheciam o facto de que em nenhum espaço museológico em Estremoz podem observar peças arqueológicas. De forma geral todos reconheciam a importância da História e Património, bem como a sua inserção e utilização nas actividades lectivas e a sua importância enquanto factor atractivo a nível turístico.

As últimas questões relacionavam-se com a visão dos estudantes em torno de possíveis melhorias na divulgação e actividades culturais, onde se verifica um reconhecimento da falha na divulgação (reconhecido por 33 dos inquiridos), onde um dos inquiridos afirma mesmo que não vê divulgação. As sugestões de melhorias passam pela organização de mais visitas (17 respostas) e divulgação junto das escolas (4) ou uma combinação entre mais visitas e mais e melhor sinalética (9 respostas). Por fim questionámos os jovens sobre se gostariam de ver mais actividades e conhecer mais sobre a Arqueologia no geral e a Arqueologia em Estremoz, apenas um demonstrou que não estaria interessado, mas 49 mostraram grande vontade, deixando ainda cometários que vêm a Arqueologia como um ponto de interesse e curiosidade.

Neste trabalho somente conseguimos encontrar 10 intervenções que se enquadram na dita Arqueologia urbana, um número que, mesmo podendo vir a aumentar, é reduzido quando comparado com outros locais, sendo este o momento certo para proceder a um trabalho de centralização e correcta gestão de dados e espólios. Com esta medida, a divulgação junto da comunidade, a utilização das publicações científicas e o aproveitamento das intervenções enquanto mote 0141 | para debates e partilha de informações ficaria muito mais facilitada, aumentando assim o número de curiosos e pessoas informadas que ganhariam não só um cuidado especial para com o Património, mas se sentiriam muito mais integrados e pertencentes à sua terra. A Escola Rainha Santa Isabel apresenta também uma grande margem de evolução e progressão, especialmente no que se reporta à falta de uma efectiva política estruturadora do ensino para o Património local.

Caso essas normativas sejam criadas e aplicadas, o impacto que a escola tem enquanto agente de divulgação cultural, vai atingir níveis ainda mais expressivos do que os que actualmente apresenta – sendo de referir que, mesmo assim, a escola tem um papel totalmente fulcral na valorização, através da divulgação, do Património de Estremoz – dando aos alunos um conjunto adicional de ferramentas que os vai fazer ter outra percepção do mundo e da realidade em que estão inseridos. Esta recomendação vai de encontro a uma necessidade encontrada nas respostas dadas pelos alunos, aos inquéritos, sendo que estes apresentam um desconhecimento generalizado do significado da palavra Património, das várias “facetas” que este pode adquirir e, acima de tudo, um desconhecimento do Património local – apesar destes dados, foi ainda interessante verificar que os alunos apresentam uma certa sensibilidade para estas problemáticas que devia ser explorada e aprofundada, à qual se pode somar uma vontade de conhecer mais sobre as técnicas, métodos, práticas e teorias relacionadas com a Arqueologia enquanto ciência social/humana.

– Arqueologia Urbana e Ambientes Virtuais: Um sistema para Bracara Augusta. Dissertação de Mestrado entregue ao Instituto de Ciências Sociais da Universidade do Minho. p. CARNEIRO, A. Povoamento rural no Alto Alentejo em época romana: Vectores estruturantes durante o Império e Antiguidade Tardia. In O Archeólogo Português. Lisboa. p. FABIÃO, C. Ler as cidades antigas: Arqueologia Urbana em Lisboa. BRAZUNA, S. – Apresentação dos Trabalhos Arqueológicos de 1997 na Villa de Santa Vitória do Ameixial. In Apontamentos de Arqueologia e Património. Lisboa: Era Arqueologia/Colibri. p. PEREIRA, M. – Rota do Património Industrial do Anticlinal de Estremoz. In Relatório do projecto “Rutas minerales de Iberoamérica y Ordenación Territorial”. OLAIO, A. ANGEJA, P. Dissertação de Doutoramento apresentada à Faculdade de Letras da Universidade de Lisboa.

Lisboa. VERMELHO, J. A memória de Estremoz. Ainda alguns considerandos sobre a fundação do Burgo. Entrevistado) (Dezembro de 2015) - Entrevista Pessoal, realizada via e-mail, ao Director da Escola Secundária Rainha Santa Isabel em Estremoz, José Sale. Plano Director Municipal da Câmara Municipal de Estremoz elaborado em Maio de 2015 [Disponível para consulta em pdm. estremoz. pt]. SENHORES JUDEUS DE ENGENHO, LAVRAS E PARTIDOS DE CANA NO BRASIL HOLANDÊS Ana Nascimento Professora Pós-Dra. br Senhores Judeus de Engenho, Lavras e Partidos de Cana no Brasil Holandês Ana Nascimento José Gustavo Wanderley Ayres Historial do artigo: Recebido a 11 de abril de 2016 Revisto a 26 de maio de 2016 Aceite a 20 de junho de 2016 RESUMO Este artigo aborda a camada dominante dos Senhores de Engenho, lavras e partidos da cana surante o período de dominação holandesa no século XVII no Litoral do Nordeste, concentração atenção nas áreas de Ipojuca e Cabo Santo Agostinho.

Por meio deste levantamento procura-se expor a participação de judeus na ocupação holandesa no litoral Nordestino, bem como sua participação econômica na aristocracia da terra. Para o desenvolvimento da análise, a área de estudo foi restringida à região litorânea de Pernambuco, no atual município do Cabo de Santo Agostinho. Palavras-Chave: Judaizantes; Holandeses; Século XVII; Cultura. ABSTRACT This article discusses the fractionation the caste's dominant in the seventeenth century on the Northeast's coast. Para Evaldo Cabral de Mello (2008: 14), “a noção segundo a qual a Restauração fora empreendida e sustentada pela gente da terra representou o tópico fundador da percepção local do domínio holandês”. Desse modo, a Restauração serviu para afirmar e (re)afirmar o pensamento de português, defendido e presente em muitos autores do período acerca da presença judaica e na sua participação da terra, como pode-se identificar em Oliveira Viana ao afirmar que “a dominação holandesa não deixava marcas no Norte do Brasil”, de modo que “até mesmo a recordação desta raça estrangeira se apagou inteiramente” (MELLO, 2008: 25).

Essa idéia, difundida após a restauração, criou o mito de que a presença holandesa não deixou marcas perenes no Brasil, não enraizou-se na colônia, e sim apagou-se inteiramente. Dessa forma, o judeu, como tipo social participante da ocupação holandesa no Nordeste do Brasil passou durante muito tempo a ser tratado de forma exclusa ou distante pela historiografia nacional, sob a mesma ótica de que não havia se enraizado na colônia, nem mesmo participado da economia ativamente, já que não era afeiçoado à terra, e seu comércio era restrito ao Porto do Recife. Segundo Evaldo Cabral (2008: 14), sobre esses fatos da presença batava, é necessário que o historiador perceba “todos esses sinais da presença batava e da resistência a ela”, pois “são livros que falam, sem que seja necessário lê-los”, são perceptíveis, herdados, são acontecimentos vividos, sentidos e escutados.

Devemos “considerar os esquemas geradores das classificações e das percepções próprios de cada grupo ou meio, como verdadeiras instituições sociais, incorporando sob forma de categorias mentais e de representações coletivas” (CHARTIER, 1990: 18). É preciso compreender que objetos simbólicos são responsáveis por construir sentidos, interpretações, intervir no real, procurando “colocar o dito em relação ao não dito, o que o sujeito diz em um lugar com o que é dito em outro lugar, o que é dito de um modo com o que é dito de outro, procurando ouvir, naquilo que o sujeito diz, aquilo que ele não diz” (ORLANID, 2005: 59). Devemos estar atento a todo discurso pronunciado no período, seja pelos padres ao longo dos séculos, incorporado aos relatos historiográficos e discursos luso-brasileiros da Reconquista; seja pelos holandeses.

A pesquisadora Lina Gorenstein (2006: 39-52) ao tratar em seu artigo “Os fundamentos agrícolas da colonização do Brasil e o papel dos sefaraditas” expõe de forma analítica como surgiu o estigma ao judeu, impondo-lhe o fato de não ser capaz de se dedicar a agricultura, um dos preconceitos mais persistentes em nossa historiografia, fruto de um discurso e de uma construção imagética do período. Esse estereótipo de representação, em toda a Europa e nos Países Baixos permitiu que não se visualizasse os judeus além do permitido pelos padrões tradicionais da historiografia – comerciantes e exportadores. Sociedade Holandesa de Ações Durante a dominação da Companhia Comercial Holandesa - WIC, muitos lavradores, senhores de terras e partidos de cana (2) portugueses, não conseguiram se adaptar aos novos tempos, as novas necessidades e exigências em meio à guerra, refugiando-se na Bahia ou no interior de Pernambuco.

Eram poucos e raros os lavradores e senhores de engenhos dispostos a investirem “as poupanças de anos fastos” e rendosos no empreendimento holandês, assim, percebe-se no período português pelos dados da visitação do Santo Ofício, uma continuidade entre as classes dos senhores de engenhos, pois elas não se alteravam grandemente, tinham baixa rotatividade. “A renovação do grupo senhorial não terá ultrapassado o caráter de um revezamento de indivíduos originários das mesmas categorias sociais” devido ao “peso econômico desses clãs, em contraste com os proprietários isolados, ou que ainda escapavam à teia cada vez mais densa das alianças domésticas” (MELLO, 2008: 139-140). A manutenção do comércio e do engenho em meio à ocupação da terra pelo novo proprietário estava ligada à capacidade de interação e correlação entre classes e indivíduos na colônia com a empresa comercial além das capacidades individuais de produção na terra, pois cada produtor dependia de financiamento preciso do governo ou de indivíduos.

Essa nova sociedade holandesa, segundo João Batista Cavalcanti de Melo (MELO, 1982: 8), era consequência de “um poderoso núcleo capitalista extraordinariamente dinâmico para a época. Temerosos de serem denunciados e perseguidos assim como na Europa, os judeus “preferiam permanecer nos setores terciários e na usura, onde sugavam os consumidores e apropriavamse dos lucros dos senhores de engenho, e dos agricultores e criadores” (MELO, 2008: 103). Essa prática não acarretou em prejuízo para as ações relativas à terra, nem mesmo aos Estados Gerais já que era preciso estimular não apenas o acesso, mas dar garantais aos proprietários. A ocupação holandesa aconteceu devido à confluência de interesses de judeus ashkenazim com os holandeses, “sob a direção dos anciãos e a solidariedade que é uma das características das comunidades judaicas, que teriam facilitado a rápida infiltração dos elementos e do capital dos israelitas no comércio, na carretagem e na exploração agrícola” (MELO, 2008: 252).

Desse modo, no período de dominação holandesa, a grande concentração de cristãos-novos e judaizantes se deu entre os comerciantes e os exportadores de açucares, de modo que os “judeus iam apoderando-se dos principais negócios da colônia: o comércio a retalho, a venda de açúcar, os contratos para cobrança de impostos, a venda de negros, a carretagem” (ANDRADE, 1962: 259). Assim, pouco a pouco os judeus foram infiltrando na vida comercial e política da colônia. Segundo Ribemboim, esse período é conhecido como criptojudaísmo olindense, de 1537 a 1631 se verificava a presença de pequenas comunidades em roças, partidos de cana e em engenhos (Olinda, Igarassu, Tejucupapo, Camaragibe), com formação de comunidades que praticavam o judaísmo em suas casas. “Não se pode asseverar com segurança se esses criptojudeus judaizavam conjuntamente ou de forma isolada, ou melhor, se eles mantinham uma comunidade constituída, clandestinamente, ou se somente judaizavam no âmbito essencialmente familiar” (RIBEMBOIM, 2002: 57).

A invasão holandesa foi responsável por modificar o rosto, a estrutura e a constituição da açucarocracia ante bellum que detinha o poder econômico na colônia, forjando uma nova configuração, com novas relações e novas culturas envolvidas, que possuíam valores comerciais e agrários diferenciados. O domínio da W. I. O segundo estrato compunha-se de produtores que resolveram permanecer no Nordeste “na posse de seus engenhos, quer a atitude fosse de colaboracionismo, cumplicidade ou reserva para com os invasores”. “Os proprietários que haviam permanecido entre os holandeses seriam os colonos lusitanos de origem recente na terra”, entre os quais se destacavam os cristãos-novos judaizantes que em oculto mantinham seu culto e prática religiosa. O terceiro estrato refere-se aos judeus de nascimento, não batizados ou mesmo perseguidos pela Inquisição, residentes na Holanda.

Intencionados em obter do governo holandês terras e concessões de comércio, bem como financiamento anual das safras perdidas nos anos iniciais da guerra, eles não se importavam com qual senhor deveriam de se ligar, desde que pudessem continuar na terra. Figura 1. Com essas informações pode-se entender como se processava a vida cotidiana dos primeiros colonizadores judaizantes e senhores de engenho. Figura 2. Engenhos de Ipojuca e do Cabo de Santo Agostinho. Fonte: Retirado do Google Earth. Como nossa pesquisa se concentra na analise dos engenhos de Cabo de Santo Agostinho e de Ipojuca, vamos destacar as particularidades de cada uma das áreas, bem como se estabeleceram os cristãos-novos no século XVII com suas propriedades e engenhos de açúcar. Na guerra de reconquista, participou da guerra dos holandeses ficando ao lado deles.

Pero Lopes Vera possuía ainda, dois engenhos em Ipojuca, de nome “São Braz” e “Nossa Senhora do Rosário”, sob o qual não temos registros de produção (WIZNITZER, 1966: 60; RIBEMBOIM, 2000: 146). No Cabo ainda atuaram dois senhores de descendência judaica de menor importância; Martim Couto (holandês Mertinus de Coutre) no engenho Matagipe e Pirapama de posse de Diogo Dias Brandão. O primeiro, engenho Matagipe sob invocação São Marcos, moía com água, com cana plantada nos montes, produzia por ano 2000 a 3000 arrobas de açúcar. O segundo de Diogo Dias Brandão, Engenho Pirapama, sob invocação Santa Apolônia, hoje situada no município de Escada, foi adquirido em “23 de junho de 1637, pelo valor de 40. florins, a contar de janeiro de 1640”, integrou-se à sociedade da época como aristocrata, “demonstrando ser pessoa entendida no trabalho do açúcar e do tabaco” (MELLO, 1990: 223, 225-226; RIBEMBOIM, 2000: 95).

Com a compra o ex-cadete, que deixara a milícia e se fizera comerciante, torna-se corretor de açúcar (1635), arrematador da cobrança dos dízimos do açúcar e pensões dos engenhos (1637), senhor de engenho (1637). “Navarro foi um dos que quiseram ficar no Brasil. em 1635 recebia licença de corretor para negociar com açúcar e fumo” (WIZNITZER, 1966: 50). Subsequentemente tornou-se comerciante muito importante e muito rico no Brasil-Holandês, principalmente pelo domínio da língua nativa, o português. Em 1639, acrescentou aos engenhos acima mais os São Salgado, que pertencera a Mateus da Costa, localizado no município de Ipojuca. Possuía ainda dois parentes envolvidos nos negócios do açúcar, o irmão Antônio Saraiva e Manuel Saraiva, seu parente. Engenhos de Ipojuca Figura 3.

Usina Cucaú. Fonte: http://engenhosdepernambuco. blogspot. com. br/ Figura 6. Engenho São Braz - capela. Fonte: http://engenhosdepernambuco. Por isso, no período holandês, se verifica a “diminuição dos partidos livres, quer devido à promoção social dos seus proprietários, quer mais frequentemente devido à alienação de suas terras ou à mutação em lavradores obrigados” (MELLO, 2002: 14). No começo do século XVII, a maioria dos senhores não lavrava a cana que moíam; ela era produzida por seus lavradores nos partidos da fazenda. No entanto, entre os lavradores haviam os que produziam “cana obrigada”, produzida nas terras de seu senhor e “cana livre”, produzida pelos cultivadores na terra concedida pelo senhor e, em decorrência disso, dependente da sua fábrica, do utensilio para a moagem. Sobre isso Vera Lúcia Ferlini (1986: 152) destaca que: As terras do engenho, por sua vez, eram cultivadas às expensas dos seus proprietários ou arrendadas a lavradores, dotados de recursos para organizarem o plantio.

Tanto no caso de terras arrendadas, como na relação com os lavradores proprietários, poderia ocorrer a vinculação da produção à moagem, em um engenho, o que constituía, “cana obrigada”. Também participavam desse extrato, os mercadores cristãos-novos de origem urbana, “constituindo um setor mais dinâmico, uma cunha de grande comércio colonial no sistema açucareiro” (MELLO, 2008: 135). Evaldo Cabral (2008: 135) destaca ainda que: Graças às suas vinculações com a economia européia, eles dispunham de posição financeira mais sólida do que os seus pares cristãos-velhos. Vários abandonaram as atividades mercantis para dedicarem-se inteiramente à gestão dos engenhos, completando seu enraizamento mediante alianças com famílias cristãs-velhas, ou dando-lhes seus filhos. Contudo, ao lado desses marranos sedentários, foram mais numerosos os que nunca se renderam à existência rural, continuando a ver em suas fábricas apenas o prolongamento lucrativo das suas lojas de Olinda.

Estes mercadores senhores de engenho (E. Percebe-se que, no começo do século XVII, a maioria dos senhores não lavrava a cana que moíam, não dispondo de partido da fazenda, mas a cana dos lavradores, seja cana obrigada, produzida pelos cultivadores na terra concedida pelo senhor. Isso se devia pelo fato de não possuírem sua fábrica, ou porque no inicio da ocupação holandesa, em decorrência da guerra, os engenhos e engenhocas estavam deteriorados ou destruídos, sendo escasso o número de engenhos que moíam seu próprio produto, além do que muitos esperavam ainda financiamento da Companhia de Comércio Holandesa. Considerações Finais No Nordeste do Brasil, ocorreu um fenômeno diverso do que ocorrera na Europa. Os judeus não se estabeleceram apenas nas cidades, migraram para áreas rurais dos atuais municípios da zona sul do Estado de Pernambuco, pois além de recolherem impostos, habitavam os engenhos adquiridos à prazo pela Companhia.

A Tradição agrícola entre os judaizantes se manteve, pois chegaram ao Nordeste como mercadores e, no entanto, se estabeleceram como agricultores por meio da aquisição de terras e lavras. Mostrando a dinâmica cultural dos judeus e o investimento em engenhos, lavras e partidos que confere com o relato de Evaldo Cabral de Mello ao afirmar que: Os judeus eram os preferidos pelos senhores de engenho e lavradores de cana para seus corretores e procuradores, com o que monopolizavam o comércio do açúcar, o tráfico africano, as operações de crédito, a arrematação de contratos de impostos, até mesmo a venda de farinha da terra, atraindo para os seus correligionários as melhores oportunidades de ganho (MELLO, 2001: 32). Tentamos ir além da descrição referida acerca do monopólio estabelecido pelos judeus, entendendo de forma específica como eles se estabeleceram, como eram as relações comerciais existentes, as operações de crédito e como a Companhia de Comércio, responsável pela liberação realizava a gerência física, política e territorial da produção.

A partir das temáticas abordadas no artigo, buscamos encerra a narrativa procurando ir um pouco além do perfil destacado por Dubin, de ‘judeus portuários’, apontando questões pertinentes à possibilidade de fixação de comunidades e espaços judaicos além da região próxima ao porto do Recife. Para tanto, tomando por base os relatos de uma recente descoberta realizada durante o Projeto de Salvamento da Refinaria Abreu e Lima no município de Ipojuca, iniciado em 2007 pela equipe de arqueologia da UFRPE. A descoberta vem intrigando pesquisadores, pois indica a presença de uma possível estrutura de um poço (Bor) no interior de uma casa completamente destruída e fora da região portuária dominada pelos holandeses. Foi através deste, que o financiamento de espaços comunitários foi permitido, servindo à manutenção de sua identidade.

Quando a presença dos judeus no Brasil chegou ao fim, os refugiados em sua maioria voltaram para Amsterdam ou foram enviados a América do Norte e Caribe, para financiar os empreendimentos coloniais. Muitos deles foram responsáveis diretos pelo estabelecimento financeiro dos engenhos no Nordeste, garantido eficácia das terras e da lavoura canavieira, produzindo assim, espaços econômicos e culturais repensados graças à liberdade religiosa permitida e conquistada por eles. Esses novos espaços, ao mesmo tempo em que transformaram o ambiente, fixaram uma nova forma de viver, compreender as relações econômicas, administrativas e religiosas, como um todo. NOTAS (1) A terminologia cristão-novo refere-se aos judeus convertidos ao cristianismo, contrapondose a cristão-velho (que não tem antepassados judaicos). e II p. TT. Inq de Lisboa CP 14 fls.

e CP 36 fls. Em documentos notariais de Amsterdam de 1617 e 1618 há provas de negociação entre Duarte Saraiva naquela cidade e Manuel Saraiva em Pernambuco, designado também como Manuel Saraiva Coronel: SR XI (2) p. Lisboa: Bertrand/Difel, 1990. GORENSTEIN, Lina - Os fundamentos agrícolas da colonização do Brasil e o papel dos sefaraditas. In MIZRAHI, Raquel; NOVINSKY, Anita; VALENTE, Celia; GORENSTEIN, Lina; CARNEIRO, Maria Luiza Tucci (Orgs. Confarad II - A presença dos judeus sefaradis e orientais na cultura brasileira. São Paulo: W-Edith Produções Gráficas, 2006, p. São Paulo: Alameda, 2008, p. MELLO, José Antonio Gonsalves de - A Rendição dos Holandeses no Recife (1654). Recife: Editora Universitária da UFPE, 1979, p. MELLO, José Antonio Gonsalves de - Gente da Nação: Cristãos-novos e Judeus em Pernambuco 1542-1654.

Recife, FUNDAJ, Editora Massangana, 1990. Tem prefácio de José Antônio Gonsalves de Mello, escrito em abril de 1995], 2000. RIBEMBOIM, José Alexandre - As comunidades esquecidas, Estudo sobre os cristãos-novos e judeus da Vila de Igarassu, Capitania de Itamaracá e Cidade Maurícia. Prefácio de José Luiz da Mota Menezes. Recife: L. Dantas Silva, Oficina das Letras, 2002, 192 p. br/> - Disponível na FONTES PRIMÁRIAS Fontes para história do Brasil Holandês: economia açucareira [textos editados] por José Antônio Gonsalves de Mello; organização e estudo introdutório Leonardo Dantas Silva; apresentação Dorany Sampaio. ed. Recife: CEPE, 2004. Fontes para história do Brasil Holandês: Administração da Conquista [textos editados] por José Antônio Gonsalves de Mello; organização e estudo introdutório Leonardo Dantas Silva; apresentação Dorany Sampaio.

ed. Esta reflexão e a exposição dos resultados obtidos sustentam o projeto expositivo concebido como consequência do processo de investigação. Palavras-chave: Museu; Políticas de Representação; Coleção; Arquivo. ABSTRACT This paper presents the research route adopted for a traineeship held at the National Museum Soares dos Reis (MNSR) under the Master in Museology. A brief overview about the museum politics of representation from the eighteenth century to the present day introduces reflection, presented below, about the MNSR representation policies between 1950 and 1960. This discussion and display of results support the exhibition project designed as a result of the research process. Tendo sido previamente ensaiada (entre 1750 e 1779) uma galeria no Palácio do Luxemburgo – para a exibição de um núcleo de pintura da coleção de Luís XV – a Grande Galeria do Palácio é finalmente inaugurada em 1793, com a exposição do património nacional composto por “tesouros apropriados” por Napoleão Bonaparte (ABT, 2006: 127).

À medida que conquistava a Europa, Napoleão confiscou obras de arte, a título de “indemnizações da guerra”, na tentativa de transformar o Louvre no museu “maior e mais espetacular alguma vez visto” (SELING, 1967, apud HOOPER-GREENHILL, 1992: s. p. Hopper Greenhill afirma que, durante a nova República, os espaços e pertences do rei, da aristocracia e da igreja foram “apropriados e transformados”, primeiro em França e depois por toda a Europa (1992: s. p). Este método narrativo e cronológico de apresentação expositiva, organizava-se espacialmente para que os visitantes usufruíssem de uma visita pedagógica, analisando a arte em relação com o tempo e com o espaço geográfico (MacDONALD, 2006a: 87). Duncan partilha a mesma opinião realçando, no entanto, a dimensão política dos objetos.

Tidos como “produtos do imaginário individual e nacional”, eram dispostos ao longo dos corredores cronologicamente e sob categorias “nacionalistas”, segundo um “espírito universal” manifestado pela exibição dos “grandes momentos da civilização” (1991: 95). Simultaneamente, ao expor os artefactos fisicamente, o museu providenciava “lições estéticas, éticas, políticas e históricas através dos objetos”(PREZIOSI, 2006: 50). Tony Bennett lembra as Exposições Universais do século dezanove, nas quais a classificação se baseava “nas nações e nas construções supranacionais de impérios e raças” (BENNETT, 1988: 94). No século dezoito, a identidade nacional era afirmada a partir do contraste expositivo entre nações ou grupos étnicos, partindo de uma abordagem discriminatória. A política de representação dos museus públicos seguia um modelo iconográfico “dependente [de uma] doutrina” (DUNCAN, WALLACH, 2004: 54) e, embora seguissem diferentes tipologias, refletiam as alterações vividas nas circunstâncias históricas e a necessidade sentida de criar museus universais, mantendo a tradição clássica e o conceito de civilização ativos na sociedade contemporânea.

Nestes museus o visitante movimentava-se num programa que o colocava no papel de cidadão ideal, herdeiro de um passado imaginado. O museu era tido nesta época como espaço no interior da nação e da comunidade, que transmitia uma imagem de unidade e autonomia. Benedict Anderson equipara um público nacional a “uma equipa, uma família ou uma comunidade” composta por milhões de pessoas que, apesar de nunca se conhecerem, se encontram unidas por um “sentimento de pertença” criado pela imaginação − uma comunidade nacional (BENEDICT ANDERSON, 1983 apud MacDONALD, 2003: 2). Para a autora, o desafio a nível nacional reside na reconciliação e na promoção de uma identidade nacional plural e diversificada. Através da autoridade concedida aos museus, estes autenticam e apresentam identidades. Os museus nacionais constroem identidades e o modo como estes dão voz ou, pelo contrário, silenciam diversas identidades reflete e influencia a percepção contemporânea da realidade vivida em determinado contexto (McLEAN, 2005: 1).

O Museu Plural Na atualidade assiste-se à emergência de etnonacionalismos, caracterizada pelo “retorno ao reprimido” − um “(sub)estado-nação”, caracterizado por “identidades” nacionais, que não foram ainda suficientemente reconhecidas pelo sistema de estado-nação (SMITH, 1995 apud MacDONALD, 2003: 5). As construções identitárias centradas e singulares estão a ser substituídas por misturas culturais e “tráfico intercultural”, deixando de lado a clara 0175 | demarcação das fronteiras. Esta crítica atribuiu especial relevância às desigualdades étnicas, sexuais, de género e de classe. As representações criadas por esta corrente crítica superaram o universo académico, questionando os regimes de poder. A grande reflexividade que caracterizava a crítica representacional, prestou especial atenção ao modo como o conhecimento era produzido e disseminado, devido à sua natureza parcial e posicionada.

Esta nova perspetiva originou a desconstrução dos produtos culturais, salientando o modo como as políticas e estratégias de representação são influenciadas pelo contexto histórico, social e político onde se inserem. Foi no contexto do surgimento de uma política identitária  dada a conhecer pela voz de estudiosos e ativistas pós-coloniais e feministas  que defendiam uma “política de reconhecimento” que abarcasse a representação dos grupos minoritários  que o museu adquiriu uma nova atenção crítica. Assim, os museus encontraram-se no centro de uma guerra cultural  tornando-se locais de verdadeiro debate epistemológico no final do século vinte , o que determina o acesso aos produtos culturais e às formas de conhecimento, considerados mais ou menos válidos e valiosos consoante o contexto (MacDONALD, 2006b: 4).

O museu de hoje – fruto destas mudanças vividas no plano representacional – adquiriu uma nova dimensão política como elemento de integração social (KARP, 1992). Nas últimas décadas tem-se verificado um crescimento incomparável do número de museus por todo o mundo, assim como uma expansão e diversificação das suas atividades. Os museus tornaram-se foco de atenção dos média e da crítica académica, já que as práticas museológicas são hoje entendidas como um terreno pluridisciplinar graças à intervenção dos estudos museológicos, que reconhecem a multiplicidade e complexidade presente nestas instituições. O conceito de comunidade passou a assumir um papel central na política pública a partir de 1950/60 (CROOKE, 2006: 180). Esta política de representação que caracteriza os museus na atualidade procura, segundo KNELL, 2004, apud MacDONALD, 2006a: 88, legitimar e reforçar a identidade de um grupo ou comunidade, através da aquisição e exposição da cultura material.

Reunir fragmentos da cultura material é também, nas palavras de Macdonald, um modo de assegurar “a representação de valores e formas culturais e um passado cujo futuro é incerto” (2006a: 89). Kreamer considera que as comunidades olham para os museus como lugares de articulação identitária (1992: 370). Por isso, os museus possuem a responsabilidade de assegurar que as exposições estabelecem relações dinâmicas entre a história e a cultura (KREAMER, 1992: 370). Abraçar o conceito de comunidade, é para Crooke, o modo mais eficaz de revisitar questões identitárias, com um papel e um valor social. Fica nesse ano, sob a nova designação de “Museu Soares dos Reis”, subordinado ao Conselho de Arte e Arqueologia da 3ª Circunscrição do Porto. Com a extinção deste organismo em 1932, o Museu volta para a dependência da Escola de Belas-Artes e é elevado à categoria de “Museu Nacional” por decreto lei (SOARES, 1996: 16).

Reabre ao público em 1933, correspondendo o período subsequente aos primeiros anos de direção de Vasco Rebelo Valente − primeiro diretor do Museu (1933-1950) − e à transferência do Museu para o Palácio das Carrancas. O Museu é classificado Imóvel de Interesse Público em 1934 e é considerado património do Estado em 1937, dando-se início a um período de recuperação do edifício. Os primeiros anos da direção de Vasco Valente coincidem com a transferência do MNSR para o Palácio das Carrancas, após ser considerado imóvel do Estado em 1937. Vasco Valente dirige o Museu até à sua morte sendo substituído interinamente pelo escultor Salvador Barata Feyo que, durante uma década (de 1950 a 1960) instala uma nova política de apoio à arte contemporânea assente na reaproximação do Museu à Academia.

Esta relação tinha sido perdida com a vinda deste Museu para o Palácio dos Carrancas em 1933, sob a chefia do seu primeiro diretor, Vasco Rebelo Valente. Salvador Barata Feyo — profundo conhecedor e agente ativo no meio artístico da época — introduz a arte do seu tempo na coleção do MNSR, prolongando o discurso expositivo nomeadamente até 1960. Percursos e estratégias de Investigação no Museu Nacional Soares dos Reis Os dez anos de direção do escultor modernista Salvador Barata Feyo (1950-1960) representavam um período significativo da história do Museu pelo número de aquisições realizadas e, por isso, se revelaram como um importante tema a explorar. Assim, foi realizada uma investigação, no contexto de um estágio curricular do Mestrado em Museologia que procurou compreender as motivações e constrangimentos inerentes à política de aquisição e exposição do MNSR nesta época.

Esta fonte – analisada entre 1949-1960 – foi fotografada e mantida em arquivo digital, antecipando o surgimento de dúvidas em circunstâncias posteriores. Também os livros de correspondência expedida e recebida permitiram uma compreensão global das relações existentes entre a instituição e o exterior. Tipicamente encontram-se registados nestes volumes todo o tipo de ocorrências com que se depara uma instituição museológica na sua atividade diária. À medida que iam sendo consultados, estes foram, simultaneamente, fotografados e arquivados com as fotografias do livro de cadastro num único ficheiro digital. Os dados relativos aos ofícios mais relevantes no âmbito desta pesquisa, foram simultaneamente registados numa tabela Excel que, numa fase inicial, indicava apenas a sua datação, conteúdo e natureza do ofício (na maioria dos casos incluindo o remetente e o destinatário).

Foi organizada também uma visita de estudo a Lisboa, que atuou como uma fonte de pesquisa complementar, uma vez que permitiu ter acesso aos arquivos do Museu Nacional de Arte Contemporânea (MNAC) e ao centro de documentação da Biblioteca de Arte da FCG. A passagem por estas duas instituições – cuja atividade é contemporânea de Barata Feyo e posteriormente de Manuel de Figueiredo, seu sucessor – permitiu responder a algumas interrogações que persistiam até aí, nomeadamente referentes à importância do MNAC no panorama museológico nacional e ao papel assumido pela FCG, a partir da década de sessenta, no mecenato de instituições culturais. No caso específico do MNAC, a visita a esta instituição tornou-se imperativa pelo facto de se ter concluído  através da correspondência interna do MNSR e da consulta de bibliografia  que, sob a liderança de Diogo de Macedo a partir de 1945, esta se tornou a primeira instituição estatal a apoiar a arte moderna em Portugal.

Assim, procurou-se na biblioteca do Museu do Chiado averiguar se existia, nesta época, uma política de gestão e representação comum a ambas as instituições. Dado que, através da análise de correspondência do MNSR, foi possível verificar a existência de um subsídio da FCG para a concepção do primeiro serviço educativo, decidiu-se igualmente visitar esta instituição para tentar obter mais informação sobre a relação entre as duas instituições. A entrevista com a atual diretora revelou-se de extrema importância, não só para compreender o atual organograma da instituição e as suas políticas de aquisição e exposição, como também para obter o seu testemunho acerca da importância da passagem de Salvador Barata Feyo pela direção desta instituição  motivo que originou o desenvolvimento deste trabalho de investigação.

Recolha de dados nos Registos de Inventário Interno Procurando ainda colmatar algumas lacunas da informação relativa à pintura encontrada nos arquivos “de entrada” dos objetos, recorreu-se ao inventário interno da instituição para a análise detalhada das aquisições. Constatou-se porém que, para esta tipologia de objeto, a informação ainda se encontra registada manualmente em fichas cartonadas  entendidas como o “bilhete de identidade” das obras , armazenadas arquivisticamente em pequenos armários de metal. Um dos principais problemas encontrados, no desenrolar deste processo, prendeu-se com o facto de uma grande parte das obras em estudo não se encontrar ainda fotografada, impedindo um primeiro contacto visual com as mesmas. Uma vez recolhidos, os dados em falta  número de inventário interno das peças, título original atribuído pelo autor, data de produção e descrição da obra (quando possível)  foram introduzidos na tabela criada em formato Excel.

A coleção de escultura cobre um período cronológico compreendido entre o século XIV e o século XX é na sua maioria constituída por obras em madeira, gesso, terracota, bronze e pedra. As vias de chegada ao Museu são, no essencial, as mesmas que para a coleção de pintura. Nesta fase de seleção foi utilizado um critério estético regido pela análise da qualidade plástica das obras em reserva. Foram também fotografadas, a título exemplificativo, outras obras que apresentam menor coerência plástica, demonstrando assim que nem só de grandes obras é constituído o acervo de um Museu Nacional. Sistematização e Tratamento dos Dados Recolhidos Numa segunda fase deste projeto procedeu-se à sistematização e tratamento do material recolhido no livro de cadastro e livros de correspondência.

Assim se arquivou, recriando digitalmente o encontrado nos livros de correspondência da instituição, fazendo corresponder a cada arquivo anual, dois subarquivos. Usando as tabelas referidas como matriz, foram criadas outras versões que, orientadas por enfoques específicos, auxiliaram na condução da investigação. Assim, foi concebida uma tabela onde foram registadas as atividades diárias desenvolvidas por uma instituição museológica: “Exposições” (organizadas, acolhidas, ou convites), “Outras instituições” (pedidos de empréstimo, depósito ou cedência de obras e contactos estabelecidos com outras instituições), “Museu” (informação relativa à organização e funcionamento interno do MNSR), “Direção” (dados referentes à atuação dos diretores entre 1949-62), “Revistas e catálogos” (informação relativa a publicações da época) e “Aquisições para o Museu” (compra de equipamento de manutenção e exposição e aquisição de bibliografia atualizada para a biblioteca).

Paralelamente foi criada outra tabela onde se encontram contempladas as aquisições (pedidos e consequentes autorizações), recusas de aquisição por falta de enquadramento na coleção ou por falta de verba disponível e, ainda, ofertas e doações ao Museu. Resultados Obtidos A análise da história do MNSR e da biografia de Barata Feyo, o estudo da “rede de relações” (políticas, sociais e profissionais) do escultor e a imersão na realidade política, cultural e artística nacional e local vivida nesta altura (PINTO DE ALMEIDA, 1996; LAMBERT, FERNANDES, 2001; LAMBERT, CASTRO, 2001; FRAGOSO, 2012) forneceram uma visão global do panorama museológico da época (MNAC, 1945-59; MNSR, 1950-1960; PORFÍRIO, 1992; SOARES, 1996; HENRIQUES DA SILVA, 2002; BARRANHA, 2011; OLIVEIRA, 2013), possibilitando a construção de uma narrativa acerca das políticas de representação do Museu na década em que Barata Feyo assumiu a sua direção (momento 1) que originou a concepção de uma exposição (momento 2).

Assim, a disposição das obras de arte segue uma lógica narrativo-cronológica, de escolas e épocas históricas. Durante a sua direção Barata Feyo tenta romper com a política de representação até aí instituída concebendo um discurso museográfico que, assente na comparação criava contrastes e provocava a linearidade até aí imposta no percurso. Este diretor inaugura pela primeira vez na história do MNSR uma sala de pintura moderna, onde apresenta os artistas contemporâneos, e uma galeria de escultura moderna que, anexa à galeria Soares dos Reis, cumpre um papel pedagógico de confrontação estética e temporal. As limitações impostas à sua ação pela política dos órgãos estatais determinaram que as exposições apresentadas no MNSR fossem, na sua maioria, organizadas pelo Secretariado Nacional de Informação.

Ao implementar uma medida de preservação do património traduzida através da passagem a bronze de um grande número de esculturas e esbocetos em gesso Barata Feyo revela uma consciência, não só da importância do presente como passado do MNSR mas também a sensibilidade estética que o caracterizava como professor e escultor. p). Por se tratar de uma “meta-exposição” (MIEKE BAL, 1996) que percorre o percurso exposição permanente – desde a Pintura de História até ao Modernismo – as aquisições realizadas durante esta década (1950-60) seriam marcadas recorrendo a sinalética adequada através da alteração da cor de fundo das legendas simplificadas. Seriam igualmente usadas legendas comentadas para salientar o significado e a importância de determinadas obras e momentos desta direção.

A correspondência interna do Museu foi considerada a matéria-prima principal, a partir da qual toda a narrativa deste projeto expositivo foi construída. A partir do trabalho de recolha e análise arquivística – primeiro momento desta investigação – nasceu a vontade de conceber uma exposição que se apresentasse, não como resultado em si mesmo, mas antes como processo de construção e negociação de significados. Assim, a narrativa cronológica da história da arte – presente na exposição permanente do Museu – poderia ser substituída por uma outra mais ousada, que refletisse o processo de investigação, expondo as aquisições realizadas anualmente por Salvador Barata Feyo. As obras seriam expostas em núcleos, recorrendo ao seu ano de aquisição, exibindo a variedade de resultados plásticos adquiridos num só ano por este diretor, e propondo um discurso baseado no confronto de diversas correntes artísticas.

Por exemplo, para simbolizar as aquisições realizadas em 1953 poderiam reunir-se as obras de dois autores emblemáticos do acervo deste Museu: o gesso “Cabeça de Velho” do escultor Diogo de Macedo e o óleo “Mulheres com Bilhas” da autoria do pintor contemporâneo deste diretor, Júlio Resende, discípulo de Dordio Gomes na Escola do Porto. Importa referir que no percurso da exposição permanente atualmente instituído, o bronze “Cabeça de Rapaz” de Diogo de Macedo ocupa o seu lugar ao lado do óleo “Menina do Gato Preto” da autoria pintor simbolista do início do século vinte António Carneiro, enquanto a obra acima citada de Júlio Resende ocupa a última sala consagrada ao período modernista. Conclusões Este trabalho de investigação mostrou-se inovador na medida em que permitiu, a partir da análise da documentação arquivística, compreender um período da história do MNSR definido pela entrada de manifestações artísticas e estéticas, que marcaram o seu discurso expositivo até aos dias de hoje e cujas motivações ainda não tinham sido analisadas detalhadamente.

In A companion to museum studies. Oxford: Blackwell. Edited by Sharon Macdonald, 2006. ALMEIDA, Bernardo Pinto de - Do salão dos independentes de 1930 à grande exposição do mundo português de 1940. In Pintura Portuguesa no Século XX. In A companion to museum studies. Oxford: Blackwell. Edited by Sharon Macdonald. DEAN, David; RIDER, Peter E. Museums, Nation and Political History in the Australian National Museum and the Canadian Museum of Civilization. p. DUNCAN, Carol; WALLACH, Alan - The Universal Survey Museum. In Museum Studies: An Anthology of Contexts. London: Blackwell. Edited by B. Edited by I. Karp, Mullen-Kreamer, C. Lavine, S, D. KARTZ, C. A. Washington: Smithsonian Institution Press. Edited by I. Karp, Lavine, S. D. LAMBERT, Fátima; FERNANDES, João - Porto 60/70: os Artistas e a Cidade. p. MacDONALD, Sharon - Exhibitions of power and powers of exhibition: An introduction to the politics of display.

In The Politics of Display: Museums, Science and Culture. London: Routledge. Edited by Sharon Macdonald. Edited by Sharon Macdonald. b. MacDONALD, Sharon; BASU, Paul - Introdution: Experiments in Exhibition, Etnography, Art and Science. In Exhibition Experiments. Oxford: Blackwell. Edited by I. Karp, Mullen-Kreamer, C. Lavine, S, D. OLIVEIRA, Leonor de - Museu de Arte Contemporânea de Serralves: Os antecedentes 19741989. Lisboa: Imprensa Nacional da Casa da Moeda, Instituto de História de Arte, Faculdade de Ciencias Sociais e Humanas, Universidade Nova de Lisboa. Oxford: Blackwell. Edited by Sharon Macdonald. ROSS, Catherine - Collections and Collecting. In Making City Histories in Museums. London: Leicester University Press. Porto: Afrontamentos e Fundação de Serralves. Edited by F. Pernes. p. SOARES, Elisa - Pintura Portuguesa dos séculos XIX e XX no Museu Nacional Soares dos Reis constituição de uma colecção.

London: Reaktion Books. Edited by Peter Vergo. DOCUMENTOS ELETRÓNICOS ANDERSON, Benedict R. Imagined Communities. Em Linha]. pdf> CRANG, Mike - On display: the poetics, politics and interpretation of exhibitions. Em Linha]. Consultado a 5 agosto 2015]. Disponível na www:<URL:http://dro. dur. pt Alice Lucas Semedo Universidade do Porto Faculdade de Letras Departamento de Ciências e Técnicas do Património Porto, Portugal semedo. alice@gmail. com Refletir sobre a avaliação das práticas de mediação cultural: Caso do Museu Casa do Infante Ana Catarina Pereira Alice Lucas Semedo Historial do artigo: Recebido a 19 de maio de 2016 Revisto a 31 de maio de 2016 Aceite a 30 de junho de 2016 RESUMO A avaliação das práticas de mediação em museus revela-se ainda pouco instituída nos museus portugueses. Como tal, o trabalho de investigação desenvolvido (1) aprofundou aspetos da colaboração entre o museu casa do infante e duas turmas de diferentes escolas da cidade do porto, através da aplicação de instrumentos avaliativos.

Como conclusão, apresenta-se uma breve reflexão sobre a aplicação e o alcance da investigação, incidindo sobretudo nas limitações e potencialidades da avaliação realizada e sobre o seu contributo para a criação de espaços reflexivos. Este trabalho resultou de uma crescente necessidade de trabalhar em prol do museu contemporâneo, que se quer ativo e participativo. Entendeu-se que esse processo de relevância da instituição perante as comunidades que o rodeiam deve começar através de práticas de avaliação participativas, ou seja, que considerem o papel do museu e dos seus visitantes. Objeto de Estudo Considera-se que objeto de estudo selecionado é pertinente uma vez que permite um conhecimento mais aprofundado sobre o trabalho que o museu desenvolve, possibilitando a agilização do processo de autorreflexão no sentido de melhor fazer cumprir a sua missão e os seus objetivos.

Assim, a avaliação proposta encontra o seu fundamento em vários aspetos: (i) esta investigação tem como propósito alargar o âmbito de avaliação tal como é comummente considerado pelos principais investigadores da área, incidindo sobre as práticas de mediação adotadas pelos profissionais do museu e sobre os seus impactos junto da comunidade escolar (BARROS: 2008; SEMEDO: 2006); (ii) entende-se que uma grande parte do esforço educativo destes museus se relaciona, sobretudo, com a comunidade escolar (DELICADO: 2013). Como tal, esta importante parceria implica uma negociação de perspetivas de diferentes instituições e, por conseguinte, a criação de espaços dialógicos, espaços esses que são parte integrante desta investigação (OLIVEIRA: 2009; PINTO: 2012); (iii) por último, crê-se que o trabalho de avaliação dos conteúdos educativos produzidos pelo museu e a sua relação com a comunidade escolar poderá contribuir para potenciar o trabalho de parceria entre ambos.

e E. do sector de extensão cultural e educativo da Divisão Municipal de Arquivo Histórico. Desenho da Investigação Considera-se que o desenho da investigação adotado se adequa ao processo de pesquisa naturalista (HEIN: 2002) que assume também outras designações, de acordo com a bibliografia consultada: construtivista (GUBA: 1990), interpretativa ou ainda qualitativa (GUBA, LINCOLN: 1989), embora esta última não seja consensual por estar muitas vezes associada ao método e não ao paradigma. A proposta que esta investigação apresenta aproxima-se sobretudo das práticas avaliativas que estão relacionadas com a participação ativa dos visitantes, essenciais à transformação dos museus e à democratização da cultura. Esta abordagem de avaliação enquadra-se na 0195 | alternativa proposta por Guba e Lincoln (1989:38) designada de avaliação construtivista e que procura a não-objetivação dos participantes na avaliação e envolvimento de todos os agentes no processo de avaliativo.

A segunda abordagem, relativa aos programas/atividades educativas, implica a análise e recolha de dados relativos à sua elaboração, aplicação e eventuais impactos. Processo Metodológico de Investigação Atendendo que a linha de investigação adotada assumiu um processo de pesquisa naturalista (HEIN, 2002), procurou-se intervir no contexto de análise com o objetivo de o interpretar e de criar espaços de reflexão e de provocação. A abordagem metodológica assentou não só na utilização de instrumentos qualitativos como entrevistas, matrizes de observação e grupos focais mas também, embora com menor expressividade e natureza quantitativa, em questionários. A metodologia adotada permitiu conhecer o perfil dos profissionais implicados no serviço educativo do museu em questão, isto é, as conceções acerca do seu próprio contexto profissional e as práticas levadas a cabo com a comunidade escolar, possibilitando, deste modo, ultrapassar a problemática identificada.

As entrevistas têm uma natureza semiestruturada com um guião de perguntas limitadas a categorias previamente estabelecidas. No âmbito desta investigação, as entrevistas cumprem dois objetivos: o primeiro, e o mais óbvio, é a recolha de dados; o segundo prende-se com a necessidade de triangulação de dados essencial à investigação. O questionário foi aplicado aos docentes que acompanharam as respetivas turmas na visita ao Museu Casa do Infante. O questionário é constituído por 20 afirmações correspondentes a uma escala de Likert de 1 a 5, em que 1 corresponde a Não concordo e 5 corresponde a Concordo totalmente. O objetivo da escala consistiu em determinar o grau de concordância perante as afirmações apresentadas. O conteúdo das afirmações foi determinado por categorias previamente definidas e que correspondem às práticas do mediador, às caraterísticas da visita e do museu, às práticas do docente.

Atividades desenvolvidas com os alunos no âmbito das sessões de grupos focais. Fonte: Fotografia das autoras. A observação não participativa aplicada recorre a uma matriz de observação previamente pensada e que teve em conta um nível básico de sistematização da informação, através da précategorização da informação a ser recolhida. O instrumento foi aplicado segundo a abordagem naturalista, uma vez que não há um controlo experimental da ação, embora se enquadre naquilo a que Luísa Aires (2012: 26) designou por panorâmica seletiva-participante. As categorias definidas correspondem ao contexto da visita, às dimensões de análise, às variáveis, aos indicadores e à respetiva descrição. Esta matriz é constituída por 5 aspetos-chave (o monitor, a ação educativa, o espaço, os participantes e a avaliação da sessão), correspondentes a 15 indicadores definidos por um total de 93 itens.

A já referida matriz possui uma escala de concordância de 1 a 4 que deve ser preenchida pelo investigador aquando do momento da recolha dos dados. À partida, a estrutura da matriz apresenta aspetos revelam grande pertinência uma vez que os aspetos, ou dimensões de análise descritos, demonstram uma abrangência que se relacionam com os campos de análise que esta investigação pretende abranger. No entanto, entende-se que matriz desenvolvida pelas autoras (MASSACHS CALAF, GUTIÉRRIEZ BERCIANO: 2013) apresenta algumas limitações. Uma das primeiras limitações verificadas prende-se com a utilização de uma escala de concordância para avaliar os itens criados. Outra limitação constatada prende-se com a matriz de observação desenvolvida. Entende-se que pela sua extensão e comlexidade, este instrumento de observação poderá estar comprometido o que pode, por conseguinte, condicionar a sua utilização.

Apresentadas as limitações do percurso de avaliação é importante sublinhar as potencialidades que este apresenta. Uma das potencialidades identificadas relaciona-se com a integração holística de diferentes instrumentos metodológicos. Considerou-se que, através da articulação de diferentes 0199 | metodologias, a avaliação seria mais completa e permitiria às partes interessadas obter um quadro mais completo das práticas de mediação no museu. Particularmente numa área emergente da prática, a avaliação pode ajudar os profissionais a aprender e a apoiar o progresso de cada um. ” O objetivo desta avaliação é sobretudo reflexivo e, tanto quanto possível, transformador. Considera-se que é através desse desígnio que decorre a pertinência desta investigação: refletir sobre as limitações e potencialidades inerentes às decisões tomadas e sobre as repercussões das mesmas e, assim, melhorar o processo implícito à avaliação.

Para mais detalhes, por favor consultar: PEREIRA, Ana Catarina - Avaliação das práticas de mediação cultural: o caso do Museu Casa do Infante [Em linha] Dissertação de mestrado. Acessível na Faculdade Letras da Universidade do Porto, Porto. In The Education Role of the Museum. London: Routledge, 1994. MENDES, J. A. – Museus e Educação. Em linha] 2007. Madrid, Espanha. Consult. Jan. Disponível na WWW<URL: http://www. BOUCHER, S. FOREST, L. The museum and the school. McGill Journal of Education/Revue des sciences de l'éducation de McGill [Em linha]. Vol. Consult. Mar. Disponível na WWW <URL:http://eprints. ucm. es/8265/> BARROS, A. handle. net/10216/8486> DELICADO, A. O papel educativo dos museus científicos: públicos, atividades e parcerias/ The educational role of scientific museums: audience, activities and partnerships.

Ensino em ReVista [Em linha] Vol. nº1, 2013, p. de Mar. Disponível na www <URL:http://www. scielo. br/pdf/ptp/v21n1/a12v21n1. pdf> GOVERNO DE PORTUGAL - Aprova a Lei-Quadro dos Museus Portugueses. G. The paradigm dialog. Em linha] SAGE Publications, INC, 1990. Consult. Abr. sagepub. com/en-gb/eur/fourth-generation-evaluation/book2748> HAGE, S. R. PEREIRA, T. ZORZI, J. pdf?sequence=1> 0201 | HEIN, G. Learning in the museum [Em linha]. Routledge, 2002. Consul. Mar. Mar. Disponível na WWW<URL: http://www. crmariocovas. sp. gov. unirioja. es/servlet/articulo?codigo=4659946>. ISBN: 978-84-695-3454-0. OLIVEIRA, M. G. pdf> PÊGO, J. P. MARTINS FERREIRA, J. M. LOPES, A. R. Processos avaliativos em mediação cultural: a postura reflexiva das ações educativas [Em linha]. Dissertação de Mestrado orientada por Rejane Galvão Coutinho.

Acessível em Universidade Estadual Paulista, São Paulo, Brasil. Consult. pt/handle/10451/4707> SCRIVEN, M. Types of evaluation and types of evaluator. American Journal of Evaluation. Em linha] Vol. nº2, 1996, p. Em linha] 2006, p. Consult. Mar. Disponível na WWW <URL: http://www. academia. com 0203 | O Museu enquanto espaço de memória e esquecimento: o caso da coleção de postais ilustrados do Coronel José Marcelino Barreira Célia Oliveira Historial do artigo: Recebido a 29 de maio de 2016 Revisto a 20 de junho de 2016 Aceite a 25 de junho de 2016 RESUMO O presente artigo debruça-se sobre o estudo de uma coleção de postais ilustrados, realizado no âmbito de um projeto de mestrado em Museologia (FLUP). A coleção, que compreende nove álbuns preenchidos com 1404 postais, remonta a finais do século XIX e integra o legado do Coronel José Marcelino Barreira, deixado à Sociedade Martins Sarmento em meados do século passado.

Tal como muitas coleções de objetos de consumo, posteriormente valorizados como colecionáveis, não encontrou no museu um espaço para se reinventar, informar e enriquecer, mas o esquecimento numa sala da reserva. Pretende-se com este artigo demonstrar como o museu, enquanto arquivo de memórias, beneficia grandemente com as histórias que estas coleções têm para contar. Palavras-chave: Postal Ilustrado; Coleção; Práticas de Colecionar. Secundarizando-se o poder e prestígio dos colecionadores, e obliterando-se por completo a identidade, simbologias e significados que os próprios inscreveram nas suas coleções, estas passam agora a incorporar e exteriorizar os valores da história nacional, transformando-se em instrumentos de aprendizagem, conhecimento e exaltação dessa mesma história (FERNÁNDEZ, 2006: 56). Os museus ganham uma crescente relevância à medida que são encarados como instituições com utilidade social, com um papel fundamental a desempenhar no âmbito da tão desejada generalização da educação.

Os Estados vão, por isso, continuar a incentivar o surgimento de novas instituições de cariz museológico ao longo de todo o século XIX e a adotar políticas de enriquecimento das coleções nacionais. O colecionismo privado não esmorece com a proliferação das coleções públicas, antes pelo contrário, renova-se com os valores veiculados pelo Romantismo e prospera, permanecendo ainda fiel a um gosto bastante eclético. Muitas destas coleções acabaram por ser doadas a museus, públicos e privados, ou deram origem a novas instituições, que prestigiam o colecionador mediante a adoção do seu nome ou atribuindo-o a um espaço do museu. Respeitando o regulamento interno da instituição, todas as coleções legadas pelo Coronel José Marcelino Barreira foram registadas nos livros gerais de inventário do Museu e extraiu-se do seu testamento o parágrafo que menciona o legado e a sua natureza: “O meu testamenteiro escolherá do meu escritório o que desejar, e o mobiliário e utensílios que deixar será para a Santa Casa da Misericórdia.

Dos livros não escolhidos, serão separados os que sejam próprios para cabos e soldados e enviados para a sala dos cabos e soldados do Regimento de Infantaria 8, de Braga. Das peças de coleções de etnografia, cerâmica, numismática, postais, etc. não escolhidos e que sejam de caráter militar (como granadas de mão, cartuchos, etc. serão enviados à mesma sala de cabos e soldados do Regimento de Infantaria 8, de Braga. Fonte: Espólio da Família de Maria da Conceição de Oliveira Mota Pinto dos Santos. Fez o primeiro ano da instrução primária na cidade, mas logo em setembro de 1898 foi admitido no Real Colégio Militar, concluindo o curso que o habilitava como 3º comandante de 0207 | secção em agosto de 1904.

Assenta praça no Regimento de Infantaria Nº 20 do Infante D. Manuel e inscreve-se no curso de infantaria da Escola do Exército. Com o país mergulhado numa grave crise política, económica e social, é promovido a tenente e, em março de 1910, segue para a província de Angola para cumprir a sua primeira comissão de serviço no Ultramar, incorporado na 2ª Companhia Mista de Artilharia de Montanha e de Infantaria (vd. Casa-se no dia 18 de outubro de 1915 com Maria José de Oliveira Vale Marto e, no início do ano seguinte, assume o cargo de Diretor das aulas regimentais e leciona o Curso Prático de Habilitação para primeiros-sargentos na Escola do Exército. Após a declaração de guerra da Alemanha e o início da intervenção militar portuguesa na Europa, o tenente José Marcelino, entretanto promovido a capitão, presta serviço em vários regimentos e continua a dar aulas na Escola do Exército.

Com Sidónio Pais à frente dos destinos do país, o Capitão José Marcelino parte, em maio de 1918, para Moçambique a fim de, integrado em companhias indígenas, combater as tropas alemãs, lideradas pelo comandante Lettow-Vorbeck. Assinado o Armistício, em novembro de 1918, o Capitão José Marcelino regressa à metrópole e à sua cidade natal, sendo incorporado no Regimento de Infantaria Nº 20. Até 20 de setembro de 1941, altura em que passa à reserva, defrontou os revoltosos da Monarquia do Norte, comandou diversos batalhões e serviu em vários regimentos de infantaria, assistiu ao golpe de Estado liderado pelo general Gomes da Costa, foi promovido à categoria de major, tenente-coronel e coronel, presenciou a subida ao poder de António de Oliveira Salazar, o reacender das tensões e rivalidades na Europa e o início da II Guerra Mundial.

Em Portugal, os primeiros postais começaram a circular em janeiro de 1878 (SOUSA, JACOB, 1985: 27). Os desenvolvimentos que progressivamente se foram registando ao nível das técnicas de impressão permitiram a introdução de imagens e ornamentos cada vez mais coloridos, tornando o postal bastante mais atrativo, ao ponto de se conservarem depois de lidos. A transição para o século XX marca o início da chamada “Idade de Ouro” do postal ilustrado, um período marcado por um autêntico frenesim de consumo, que se manifestou em todos os estratos sociais, géneros e idades. O postal era avidamente comprado para enviar pelo correio, trocar ou colecionar, e todas as famílias tinham o seu álbum, exibido com orgulho a familiares e amigos. Vendiam-se nas ruas, em todos os estabelecimentos comerciais e em grandes eventos, e eram oferecidos em revistas, assim como por empresas de vários ramos.

As temáticas mais representadas abrangem aspetos topográficos, figuras e costumes, atividades agrícolas, piscatórias e industriais, e os transportes. Nestes álbuns incluem-se ainda 112 postais topográficos de terras portuguesas. O investimento na coleção de postais ilustrados aumenta a partir dos anos 20, altura em que o Coronel se insere em comunidades internacionais de colecionadores de postais. Inscreve-se em vários clubes e associações de colecionadores, e publica anúncios em revistas da especialidade com o objetivo de contactar outros colecionadores para comprar, vender e trocar, ações que resultaram num crescimento exponencial da coleção e no seu enriquecimento, tendo em conta as novas temáticas introduzidas. Associados a esta fase da construção da coleção estão os álbuns nº 4 e 5, e 379 postais de diversas proveniências (Polónia, Alemanha, Grécia, Itália, França, Espanha, Áustria, Hungria, Bélgica, Suíça, República Checa, Austrália, Estados Unidos da América, Cuba), destacando-se pela quantidade os postais topográficos franceses, japoneses, suíços e alemães.

Sempre que essas experiências são relembradas, o colecionador recria-as e embeleza-as, o que lhe proporciona sentimentos momentâneos de felicidade e segurança, no contexto de um presente que é vivido com amargura e uma profunda nostalgia. Além de representarem a biografia material do colecionador, os álbuns de postais são verdadeiros “livros de saudade”. Notas finais O Coronel José Marcelino Barreira era um militar com um gosto peculiar: gostava de colecionar. Durante a sua vida fez várias coleções, muitas delas profundamente associadas à sua ocupação profissional. Colecionou selos, moedas e cédulas de papel-moeda, objetos vários com propósitos militares (granadas, munições), cartas topográficas, peças de cariz etnográfico (esculturas, dentes de animais, cestinhos de palha, cerâmicas, estrelas do mar, ovos de avestruz) e postais ilustrados.

Collecting in a consumer society. London: Routledge, 1995. ISBN 0-415-10534-X. BRIGOLA, J. – Coleccionismo no século XVIII: textos e documentos. ISBN 84-7628-276-1. HILL, C. – Picture postcards, 2ª ed. Buckinghamshire: Shire Publications, 2007. ISBN 0-74780398-6. PEARCE, S. – Museums, objects and collections: a cultural study. Washington: Smithsonian University Press, 1993. ISBN 1-56098-330-2. PEARCE, S. London: Routledge, 1994b. ISBN 0-415-11288-5. p. PEARCE, S. Collections and collecting. Sociedade Martins Sarmento - Estatutos e regulamento interno da Sociedade Martins Sarmento. Guimarães: Sociedade Martins Sarmento, 1956. SOUSA, V. JACOB, N. Portugal no 1º quartel do século XX documentado pelo bilhete postal ilustrado. Lei nº 47/2004. D. R. Série I-A Nº 195 (04-08-19), p. COMUNIDADE DENTRO DO MUSEU? COMO ASSIM?O CASO DO MUSEU EUGÊNIO TEIXEIRA LEAL/MEMORIAL DO BANCO ECONÔMICO – SALVADOR/BRASIL Guilhermina de Melo Terra Professora da Universidade Federal do Amazonas; Departamento de Arquivologia e Biblioteconomia; 69077-000; Manaus-Amazonas; Brasil guilherminaterra@gmail.

Key-Words: Organization; Museum- 1. Introdução Na contemporaneidade, independente do campo disciplinar em que o museu atua, caberá a este atingir, enquanto missão organizacional, o desenvolvimento do meio em que é parte integrante. Isso implica afirmar que o alcance da melhoria da qualidade de vida das pessoas que se encontram em seu entorno, necessita ser a razão maior do mesmo. A justificativa de tal fato liga-se à própria natureza das organizações museológicas. Por serem organizações sem fins lucrativos, os museus classificam-se como pertencentes ao Terceiro Setor da Sociedade. Caberá ao museu estabelecer as suas programações de forma direcionada, tomando por base os grupos sociais específicos, cujas ações ou programações se destinam, com o intuito de lhes promover uma fácil compreensão da mensagem comunicada.

A partir do momento em que a programação é construída com base no processo de significação dos visitantes-alvo, a ação museológica passará a fazer sentido para tais visitantes, promovendo seu real envolvimento, 0217 | tornando-os em agentes ativos do processo dialógico, tão importante para a construção do conhecimento. O museu ao assumir esta posição, não só o visitante adotará uma postura participativa na construção do significado que será estabelecido durante a troca de experiências entre ele e o museu, mas também o museu acabará por cumprir com seu papel social, uma vez que levará tais visitantes a mudarem sua forma de ver e agir no contexto em que integram. Afirma-se isso, pois, ao final dessa experiência, cada visitante sairá mais enriquecido e com novos conhecimentos acerca da temática trabalhada.

Ademais, o museu ao adotar essa prática deixará de “meramente mostrar seus objetos de forma mecânica, passando a construir discursos em prol da formação social, política e cultural do visitante, no sentido de contribuir com o desenvolvimento social” do mesmo (MacDONALD, 2006: 321, tradução própria). Ou seja, para cumprir verdadeiramente seu papel social, cada museu necessitará trazer para dentro de si a comunidade, como destaca LEWIS (1998: 366, tradução própria), quando diz que “para que o museu funcione corretamente deve ter uma noção mais clara do público em geral” que necessita atender, pois a aprendizagem nos museus, assim como em qualquer outro lugar, corresponde a algo voluntário e individual, motivado pelos interesses intrínsecos, pelo despertar de uma curiosidade, pela vontade de explorar e manipular o ambiente em que se encontra, pela fantasia e, sobretudo, pela interação social que cada visitante estabelece com o discurso em que se deixa envolver.

Por assim entender a prática museológica, constatou-se que o Museu Eugênio Teixeira Leal/Memorial do Banco Econômico – METL/MBE, desde os anos 2000, vem a tentar praticar suas ações com vistas na construção do conhecimento de seus visitantes, ou seja, estar a tentar se tornar um ambiente de comunicação e aprendizagem. Tal fato deu-se início quando se agregou, à sua missão organizacional, a melhoria da qualidade de vida dos moradores da Favela Nova Esperança, favela esta que se encontra localizada ao entorno do museu, na região do Pelourinho. Cabe salientar que o referido museu continua a atender os inúmeros turistas nacionais e internacionais que circulam pelo Pelourinho, mas o grande diferenciador de sua ação foi, sem dúvida, quando se voltou para os inúmeros problemas típicos das regiões periféricas e que são escondidos aos olhos dos turistas que circulam pela região, tais como: desemprego, evasão escolar, drogas, prostituição, exclusão social e tantos outros.

Nesta perspectiva, sem deixar de lado as práticas tradicionais e atendimento aos turistas que visitam o Pelourinho, ações inovadoras, as quais envolvem os moradores locais, passaram a fazer parte do cotidiano do respetivo Museu. Fonte: Fotografia do METL/BEM 0219 | Composto por um museu, uma biblioteca, um arquivo, um cineteatro, salas para exposições de curta e longa duração, o METL/MBE passa a ser visto mais como um complexo que um museu propriamente dito, uma vez que suas ações não se voltam, exclusivamente, à prática museal. Por esta razão, acreditam que as ações a serem ofertadas para a comunidade dão-se de forma mais ampla, não se restringindo exclusivamente às práticas museais. A justificação disso liga-se ao reconhecimento dado à biblioteca localizada no respetivo museu, no ano de 2008.

Mediante o trabalho a ser desenvolvido junto às crianças e adolescentes da comunidade, a partir do referido ano, este espaço informacional passou a ser denominado “Ponto de Leitura”, por meio da Portaria nº 060/2008, de 23 de setembro de 2008, atribuída pelo Ministério da Cultura local. Com tal nomeação, o METL/MBE passou a ser a única organização museológica a receber tal título, em relação não só aos demais museus, mas também em relação às demais bibliotecas regionais. Vista do Pelourinho. Fonte: http://blog. localnomad. com/pt/2013/04/22/guia-pelourinho-a-antigasalvador-da-bahia/ Mas, não se pode esquecer é que nem sempre tal região manteve tal respeito. A nível histórico, a região do Pelourinho, durante os anos 60 do século XX, sofreu um forte processo de degradação, com a modernização da cidade e a transferência de atividades económicas para outras regiões da capital baiana, acabando por transformar a região do centro histórico de Salvador em um antro de prostituição e marginalidade.

Progressivamente, o envolvimento dos colaboradores com as programações propostas pela sua direção foram se tornando realidade e, no ano de 2007, de forma mais intensa, o museu começou a atuar enquanto organização aberta, isto é, voltado verdadeiramente para a comunidade, no sentido de contribuir com a melhoria da qualidade de vida das pessoas que moravam em seu entorno. Por meio de seus projetos o METL/MBE vem procurando envolver cada vez mais grupos de visitantes específicos, no sentido de atender suas necessidades culturais, juntamente com a oferta de serviços aos turistas, por acreditar que as práticas tradicionais e demais ações básicas da Museologia são igualmente importantes para a ação museológica, devido a própria natureza dos museus. Os museus necessitam, mais do que nunca, atuarem de forma integrada à comunidade, pois na contemporaneidade, intensificou-se o discurso criado anos atrás, ou seja, de que o papel social dos museus deve se voltar para o desenvolvimento social do meio em que são partes integrantes.

Além disso, a área da gestão defende a ideia de que os museus, enquanto organizações, precisam se manter em harmonia com o meio, caso não queiram entrar em estado de entropia e, consequentemente, falência. Nesta perspectiva, os museus necessitam desempenhar uma postura pró-ativa, a fim de contribuir com a mudança do indivíduo (conhecimento, atitude e habilidade). Para isso manter-se de forma pró-ativa faz parte deste contexto, pois o importante é oferecer tanto o que a comunidade espera, quanto antecipar-se às outras necessidades. Com o objetivo de atrair a atenção dos visitantes mais novos, o METL/MBE apresenta mecanismos destinados à interatividade entre o visitante e o conteúdo apresentado, a fim de tornar o processo comunicacional algo agradável e prazeroso, sobretudo às crianças e jovens.

A exemplo disso, citam-se as vitrines e painéis interativos. vd. Figura 4. Fonte: Fotografia do METL/BEM. Assim como os cursos de Arquivologia e Biblioteconomia da Universidade Federal da Bahia, salienta-se que os alunos do curso de Museologia da mesma universidade também estão a fazer uso do espaço museal. vd. Figura 6. Figura 6. Para as ações destinadas à população local, a equipa do METL/MBE desenvolve atividades, por meio de programas socioeducativos, projetos patrocinados, além de suas exposições. Quanto a estas, o respetivo museu estabelece uma interessante parceria com os artistas locais. O espaço museológico lhe é aberto, gratuitamente, desde que, em troca, e também de forma gratuita, o artista ofereça à comunidade oficinas, de modo a contribuir com a construçõ de novos conhecimentos.

vd. Figura 8. As visitas devem ser programadas antecipadamente pelo Museu ou através do contato das escolas, dessa forma, são elaboradas programações extracurriculares que contribuem com o aprendizado dos visitantes, separadas em três etapas: História de um Banco, História do Dinheiro e a Sala das Medalhas e Condecorações. Dentro dessa programação pretende-se desenvolver a atividade O Museu vai à Escola, com o objetivo de atender às instituições que desejarem a participação do museu em eventos educativos desenvolvidos pelo estabelecimento de ensino. A programação ocorre durante todo o ano, de terça feira a sexta feira, das 9h às 18h e sábado das 13h às 17h. vd. Figura 9. Projeto Cultura Popular: Ritmos e Ritos Populares da Bahia Projeto Cultura Popular e realizado em parceria com o Instituto de Radiodifusão da BahiaIRDEB.

Tem com objetivo a disseminação da cultura baiana, com foco na preservação do seu patrimônio material e imaterial, representado através das músicas, danças e indumentárias, peculiar de grupos folclóricos, que divulgam tão bem as raízes e tradições dessa parte do Brasil. Mostra vídeos sobre manifestações folclóricas desenvolvidas no Estado da Bahia, em quatro sessões diárias e apresentação de vários grupos folclóricos, pelas ruas do Pelourinho. Além do mais, as atividades voltadas para escolas, mediante marcação prévia, com distribuição de livretos informativos para o público e apresentação de grupos folclóricos pelas ruas do Pelourinho. A programação ocorre sempre no mês de agosto de cada ano.

Projeto AEIOUtubro. Fonte: Fotografia do METL/BEM. Projeto O Natal em você Esse projeto foi criado no ano de 2011, como o objetivo de apresentar uma proposta de ação para resgatar valores morais e culturais que foram substituídos em nome da modernidade. Considerando a perspectiva dos participantes sobre o significado da festa natalina, pretendese com esse projeto, desenvolver atividades que facilitem a troca de experiências e a construção de conhecimento das tradições do Natal, de forma participativa, buscando integração e reflexão sobre a importância do desse evento para cada um. Compreender a essência da festa natalina e os alguns dos motivos que incentivaram a comemoração desse evento milenar, a partir do desenvolvimento de atividades educativas somadas às experiências dos indivíduos envolvidos no projeto.

Figura 14. Projeto Educação Patrimonial. Fonte: Fotografia do METL/BEM. Projeto Inclusão Sócio-Digital Esse projeto, também oferecido pela biblioteca do METL/MBE, visa contribuir com o processo de inclusão digital dos adolescentes que não possuem a oportunidade de fazer uso do computador como ferramenta educacional. Para isso, disponibiliza no espaço da biblioteca alguns computadores, os quais passam a ser utilizados, com o apoio de monitores, como atividades de estudo, pesquisa e entretenimento. Figura 16. Projeto Varal Cultural. Fonte: Fotografia do METL/BEM. Projeto Passaporte do Futuro: Curso de Monitores para Museus e Institutições Culturais O projeto Passaporte do Futuro corresponde a uma ação desenvolvida pelo METL/MBE em parceria com o Instituto Cooperforte. O objetivo desse projeto é o de capacitar jovens carentes para atuar na monitoria e acompanhamento a visitantes em museus e centros culturais, visando contribuir para a construção de uma educação para a utilização dos museus como espaços educativos, auxiliando na construção de uma educação da cultura baiana e brasileira.

De fato, o museu vem chamando para si a comunidade, independente da raça, cor, classe social, faixa etária, interesses culturais, buscando por trabalhar com o maior número possível de grupos sociais, sendo válido frisar que, independente da clientela a atender, a equipa do museu procura desenvolver suas práticas com a mesma dedicação, profissionalismo e, sobretudo, respeito ao público, afinal como dito pela auxiliar da Biblioteca: é obrigação do Museu servir bem o visitante, de modo a fazer com que este tenha “[…] o prazer de vim pr’aqui […]” (1). Conclusão Os museus, enquanto organizações, necessitam acompanhar o contexto histórico. Posto isto, na contemporaindade, cabem aos museus substituirem a imagem de edifícios frios e distantes para a de espaços transformadores, no que se refere à melhoria da qualidade de vida das pessoas que se localizam em seu entorno, de modo a cumprirem o seu papel social.

Cabe salientar que, não se estar aqui a defender uma nova concepção de museu. Pelo contrário, como defendido por ARAÚJO (2004: 29), os princípios museológicos atuais se voltam para uma nova concepção do que será a ação do museu, não exigindo a criação de museus novos, mas sim, o desenvolvimento de novas ações, capazes de transpor os espaços museais para a sua sociedade, com o propósito de cumprirem, verdadeiramente, a função social exigida no contexto atual. de como aprender, de como ser um pessoa é…estudiosa, […], passam pra gente de como ter um sonho, um objetivo, que antes, quando a gente chega aqui…eu cheguei aqui e não tinha um objetivo…se hoje em dia eu já tenho, por quê? Eles passaram pra mim uma semente e daí…no caso eles querem…é…colher depois, que no caso é meu progresso e da comunidade também […] (2).

Para as crianças do entorno, o METL/MBE passou a ser utilizado como um ponto de encontro, utilizado independentemente do horário dos projetos oferecidos pela biblioteca. Tal fato vem a se tornar sinónimo de tranquilidade para as mães, pois anteriormente, suas crianças ficavam nas ruas, à mercê dos vários perigos urbanos e, depois do envolvimento do museu com a comunidade, o espaço museal passou a ser inesquecível para os miúdos e de segurança para seus pais, conforme exposto por uma das mães da comunidade: “É […] depois do museu, ele [filho]…é…daqui pra casa […]. Então eu fico tranquila, porque eu fico no bar trabalhando com minha mãe. Eu nem me preocupo mais … é daqui pra casa” (3). La gestión del museo. Asturias: Ediciones Trea, 1998.

ISBN 84-89427-94-1. ARAÚJO, Karin Fernandes – Museus e sociedade: por uma museologia social. São Paulo: ECA/USP, 2004. A companion to museum studies. Oxford: Blackwell, 2006. ISBN 1-4051-0839-8. LEWIS, Peter – Museos y marketing. In MOORE, Kevin (Ed. The manual of museum exhibitions. Walnut Creek: Altamira Press, 2002. ISBN 0-7591-0233-3. MOLIN, Elsiane Dondi Dal et al. – Os museus como organizações sem fins lucrativos e as estratégias de marketing aplicadas ao segmento. In Arte, Individuo y Sociedad. Vol. ISSN 1130-0531. THROSBY, David – The economics of cultural policy. Cambridge: Cambridge University Press, 2010. foram realizadas dinâmicas relacionadas com a Cividade de Terroso, a sua História e espólio arqueológico, com o objetivo de desenvolvimento de trabalhos de Artes Plásticas/Visuais. desta ação resultaram trabalhos distintos que culminaram na primeira intervenção na sala de Arqueologia do Museu Municipal de Etnografia e História da Póvoa de Varzim.

Palavras-chave: Artes Plásticas; Arqueologia; Património; Intervenção Social. ABSTRACT Presenting this article an action in integrated Cividade Design, artistic design centred in Cividade of Terroso, an archaeological space, at Póvoa de Varzim. The action developed has establishe a relationship between art, archaeology, heritage and social and community intervention. ª escavação arqueológica de 1906 dirigida pelo arqueólogo Rocha Peixoto (1866-1909), a Cividade de Terroso é na atualidade um lugar de pesquisa continua onde se efetuam trabalhos arqueológicos, visitas guiadas sob a responsabilidade do Museu Municipal de Etnografia e História da Póvoa de Varzim. O espólio arqueológico encontra-se visitável na sala de arqueologia do museu municipal. No sentido de prolongar a experiência artística para fora do atelier e estabelecer uma relação para a divulgação e valorização do património do concelho, pretendeu-se desenvolver uma ação com a integração de uma comunidade/grupo no processo criativo.

Uma comunidade/grupo periférica/o à Cividade, com pouco ou nenhum contacto com a Cividade de Terroso e com a sua história. Para realizar uma atividade artística formativa destinada a crianças e jovens de ambos géneros de diferentes faixas etárias, foi dirigida uma proposta a diferentes instituições da Freguesia da Póvoa de Varzim. Objeto em ideia mas ainda sem um corpo material, o que vamos tecer e como? 0235 | A tecelagem foi apresentada como uma prática transcultural milenar que remonta a 3500 anos a. C. Esta tecnologia já dominada pela Cultura Castreja, cultura que se desenvolveu no noroeste peninsular, referida por Estrabão (63 a. C. ou 64 a. Iniciou-se o processo de levantamento, histórico, geográfico, documental e ambiental que envolveu duas deslocações do centro urbano para a Cividade de Terroso, onde foram realizados registos áudio visuais.

A primeira visita foi guiada e orientada pelo arqueólogo municipal, cada participante dispunha de um caderno, uma espécie de diário gráfico da atividade, para suporte de ideias, exercícios, desenhos na Cividade de Terroso. A segunda, foi uma visita igualmente formal mas sem guia, destinada a realização de desenhos e de dinâmicas geradoras de matéria a ser utilizada no processo criativo, como a análise do espaço. Foi proposto aos participantes, a realização de desenhos e um jogo de caça a palavras, palavras-chave para ler, refletir e ilustrar sobre as caraterísticas da cultura castreja e da romanização. O processo de levantamento do local revelou os interesses a explorar: a tecelagem e as construções de planta circular. A consciência e valores ecológicos foram transmitidos paralelamente ao contexto da formação em artes plásticas, valores que se encontram também no “paleoambiente” preservado, da Cividade de Terroso, as preocupações ambientais motivaram a reutilização de materiais caraterísticos do nosso tempo e da nossa cultura, por exemplo: cabelagem de cobre de eletrodomésticos, cartão e plásticos.

Foi organizada a uma campanha de recolha de fios elétricos, ricos em cobre, no “Projeto Arrisca”, produziu-se uma imagem para assinalar a campanha de recolha; no sentido de ampliar a ação de reutilização foi necessário solicitar apoio a uma entidade específica na gestão de resíduos urbanos. A “Lipor” foi contactada e forneceu a cabelagem de cobre, revestido a plástico e tecido proveniente de equipamentos elétricos entregues para reciclar. A diversidade de cabelagem obrigou a uma organização que revelou diferentes espessuras, texturas, diferentes valores cromáticos, a plasticidade da matéria foi explorada no decorrer do processo criativo. Os novelos de diferentes tipos de fios de cobre foram organizados para se proceder à construção da trama e da teia e também como fio de tecelagem nos teares construídos em madeira e parafusos.

Os destinatários pouco relacionados com os processos criativos e com os elementos da linguagem visual, entendeu e aplicou os conhecimentos transmitidos na realização dos trabalhos. O trabalho desenvolvido na atividade de artes plásticas foi apresentado à instituição museológica municipal, na possibilidade de estabelecer um protocolo pontual para uma intervenção artística na sala de arqueologia. A proposta foi aceite pela instituição. Resulta desta proposta, Pojeto Cividade, 1. ª intervenção na Sala de Arqueologia, que ocorreu de 13 a 21 Julho de 2013 no Museu Municipal de Etnografia e História da Póvoa de Varzim. A intervenção na sala de arqueologia possibilitou a afirmação e divulgação do trabalho desenvolvido com enfoque na Cividade de Terroso, na Cultura Castreja e na vista em planta do antigo povoado castrejo, desenhada por Gonçalo Cruz (1856-1928) em 1906/1917.

O grupo de participantes teve a possibilidade de conhecer a Cividade de Terroso, de a valorizar como lugar património que foi integrado na expressão plástica. A formação artística teórica e prática em contexto de intervenção social e comunitária demonstrou ser um processo de educar para artes, possibilitou dar resposta à necessidade de uma cultura artística vasta e construtiva de percursos formativos individuais e coletivos que se podem explorar no âmbito da educação vocacional. Relevante poderá ser a relação pontual estabelecida com a instituição museológica. A intervenção proposta e realizada, sem precedentes neste contexto de experimentação, possibilitou construir um protocolo inovador e pertinente ao nível institucional e comunitário. In Boletim Cultural da Câmara Municipal da Póvoa de Varzim.

Volume 2, n. º 10, 1971, p. GOMES, José Manuel Flores; CARNEIRO, Deolinda Carneiro - Subtus Montis Terroso: património arqueológico no concelho da Póvoa de Varzim. Póvoa de Varzim: Câmara Municipal da Póvoa de Varzim: Museu Municipal: Gabinete de Arqueologia, [il. ISBN 978-972-37-1297-I, TRAQUINO, Marta - A Construção do Lugar pela Arte Contemporânea. Lisboa. Editora Húmus. ISBN 978-989-813932-0 0239 | DOCUMENTOS ELETRÓNICOS SILVA, Amando Coelho Ferreira da – A Cultura Castreja no Norte de Portugal. Em linha]. Participante na atividade de artes plásticas. Desenho de linha no caderno da atividade. Sede “Projeto Arrisca”, Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Figura 2. Sede “Projeto Arrisca”, Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Figura 5. Participantes na atividade de artes plásticas.

Construção dos teares. Sede “Projeto Arrisca”, Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Figura 8. Rodas de bicicleta reutilizadas em “Carros tear”. Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Figura 11. ”Carros tear” com desenhos do processo. Sede “Projeto Arrisca”, Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Participantes na atividade de artes plásticas, desenho e fita colagem sobre manga plástica. Sede “Projeto Arrisca”, Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de “Projeto Arrisca”. Figura 15. Cartaz de divulgação do Projeto Cividade, 1ª intervenção na sala de arqueologia; Póvoa de Varzim, 2013. Fonte: Fotografia de Manuel Horta. Figura 18. Projeto Cividade, 1ª intervenção na sala de arqueologia; fotografias realizadas no decorrer da atividade de artes plásticas. Museu Municipal de História e Etnografia da Póvoa de Varzim.

Póvoa de Varzim, 2013. Na primeira etapa do Projeto Cividade” foram realizadas visitas de estudo ao local, posteriormente desenvolveu-se o trabalho reutilizando uma planta do castro, de 1917, documento produzido pelo desenhador Gonçalo Artur Cruz, contemporâneo de Rocha Peixoto (responsável pela primeira escavação arqueológica do local). Os trabalhos realizados na Oficina de Artes Visuais exploram diferentes técnicas das artes visuais assim como diferentes materiais. Para além do campo da experimentação plástica, estes trabalhos apresentam-se também como produtos finais de um processo que se desenvolveu em sessões de 90 a 120 minutos, ao longo de seis meses. Como resultado desta primeira fase de trabalho apresenta-se a intervenção com os trabalhos realizados na Sala de Arqueologia do Museu Municipal da Póvoa de Varzim.

Nesta sala de preservação e de difusão cultural, propõe-se ao espectador a possibilidade de observar um diálogo entre prática atual com artefactos que nos têm sido revelados pela arqueologia.

1001 R$ para obter acesso e baixar trabalho pronto

Apenas no StudyBank

Modelo original

Para download